Mondo manifatturiero, la sfida della staffetta generazionale: «pochi i giovani candidati»

L’intervista Massimiliano Bruni, pro rettore allo Iulm, si sofferma sulla carenza di manodopera con cui si scontrano le imprese: «Mancano candidati per i ruoli più tradizionali tipicamente manifatturieri di cui le aziende hanno bisogno»

Il mercato del lavoro soffre di una carenza di candidati da inserire nelle aziende soprattutto per professioni tecniche. Ma la continuità delle imprese può essere salvaguardata con più formazione, con l’inserimento di manodopera immigrata e soprattutto integrando il più possibile fra loro le due categorie di nuove generazioni: quella dei lavoratori e quella dei nuovi imprenditori che subentrano alla guida delle imprese.

È il passaggio generazionale perfetto in grado di dare lunga vita alle imprese secondo Massimiliano Bruni, professore del dipartimento di business, diritto, economia e consumi dell’Università Iulm e prorettore con delega ai rapporti con le imprese.

Professore, considerando le differenze dimensionali e i diversi livelli di innovazione tecnologica, come valuta in media la qualità del passaggio generazionale fra lavoratori in atto nelle pmi italiane?

In proposito ci sono due grandi temi: le difficoltà nel reperire nuovo personale e le competenze tecniche relative al lavoro manuale. I due aspetti si legano e rappresentano oggi un vero elemento di difficoltà e sofferenza per la piccola e media impresa italiana in quanto il trasferimento di competenze da persone tecnicamente esperte (elettricisti, saldatori, operatori di manifattura meccanica industriale e artigianale) alle nuove generazioni risente del fatto che queste sono sempre meno disponibili a ricoprire certi ruoli e a svolgere certe mansioni. Il vero problema è quindi la mancanza di persone da inserire in processi operativi e industriali, dove il trasferimento di competenze avviene per esperienza, attraverso il lavoro. Mancano candidati per i ruoli più tradizionali tipicamente manifatturieri di cui le aziende hanno bisogno e anche il progetto di alternanza scuola lavoro non ha risolto il problema.

L’alternanza oggi è in sostanza venuta meno e le aziende che se lo possono permettere possono contare solo sulle loro Academy?

Le aziende si sono dovute in qualche modo sostituire ad enti che avrebbero dovuto essere preposti al ruolo, dando luogo ad Academy e a collaborazioni. Lo fanno per far fronte a una vera emergenza non transitoria, ma strutturale.

Come vede il futuro di questa situazione?

Credo che la soluzione oggi stia nel trovare non nel breve bensì nel medio termine una soluzione legata a flussi migratori regolati e gestiti, per un tipo di manodopera che oggi credo vada sempre più cercata da Paesi in cui c’è ancora disponibilità a svolgere certe mansioni e dove si possa trovare o creare una competenza. Molte aziende della meccanica, dell’edilizia e dei servizi si stanno creando nuove soluzioni per le assunzioni, guardando all’estero, in alcuni casi in particolare all’Est Europa, per ricercare competenze che non trovano sul mercato interno. A seconda dei profili, il settore tessile trova competenze in alcune zone del Nord Africa, la meccanica le trova in Est Europa. Associazioni di categoria, imprese strutturate e a volte imprenditori particolarmente illuminati stanno cercando in quella direzione.

Qual è lo stato della formazione digitale?

Sulle competenze tecnologico-digitali il problema non è tanto il trasferimento di competenze, quanto la capacità di integrazione di profili diversi. Ad esempio, qualche anno fa si parlava di capacità di gestione di macchine a controllo numerico, poi si è aggiunta l’esigenza di progettazione Cad-Cam. Oggi tutti i sistemi di digitalizzazione rappresentano una grande opportunità di innovazione e modernizzazione anche della pmi. Le nuove generazioni sono più preparate in tal senso e vanno inserite in azienda creando le condizioni organizzative e culturali per poterlo fare.

A partire dalla qualità dei contratti di assunzione?

C’è una questione di livelli salariali e c’è anche la necessità di creazione da parte delle aziende di condizioni di flessibilità nelle modalità lavorative come oggi viene richiesto dai più giovani. Ritengo che le aziende per apparire attrattive verso tali figure debbano attrezzarsi e riuscire a dare risposte in fase di selezione, di ingaggio e di retention.

Spesso rimane comunque un gap sulle competenze digitali. La scuola e le imprese investono a sufficienza e in modo adeguato per colmarlo?

È il tema delle figure specializzate, con competenze in quella parte del digitale che riguarda le alte tecnologie. Anche in tal caso c’è mancanza di risorse, ma vedo meno difficoltà in quanto ci sono tante possibilità formative sia nelle scuole superiori sia nei corsi universitari e in altri corsi paralleli, con programmi che nel medio termine possono rispondere al deficit di risorse.

In diversi settori, soprattutto nell’artigianato, nel commercio e nell’agricoltura ma anche nell’industria spesso i figli non vogliono continuare l’attività imprenditoriale di famiglia, così come fra i giovani lavoratori dipendenti c’è chi si licenzia per cercare un diverso equilibrio fra vita personale e lavoro. Vede punti di contatto fra le due tendenze? Quanto mettono a rischio la sopravvivenza e la competitività dell’economia reale?

Assolutamente sì, se il problema non viene gestito correttamente. Sui passaggi generazionali che riguardano il trasferimento del governo dell’azienda da una generazione all’altra in realtà la maggior parte dell’azienda realizza un’integrazione generazionale, non una staffetta in cui qualcuno prende il testimone. Lo fa lavorando progressivamente insieme affinché il passaggio si compia nel tempo. Ciò prevede una pianificazione in tre step: una progettualità, un accompagnamento e una successione. Ma c’è un altro aspetto: le aziende di fatto trovano la massima espressione nella capacità delle generazioni di lavorare insieme, Questo è il vero tema che dà la continuità al successo aziendale.

L’Università Iulm è coinvolta in progetti di collaborazione con le imprese che riguardino i passaggi generazionali e di competenze?

La nostra attenzione deve essere quella di accompagnare le aziende nel far vivere insieme le generazioni di lavoratori e di assetti proprietari, in cui più generazioni convivono fino al naturale trasferimento di competenze e successione alla guida dell’impresa. La Iulm in proposito è molto attenta, con la Iulm Communication School che si propone come soggetto che accompagna per il long life learning, per tutto lo sviluppo professionale e personale. Lo fa fornendo formazione, contenuto e supporto a tali processi. La formazione delle nuove generazioni diventa lo strumento attraverso il quale favorire l’ingresso in azienda di nuove competenze e risorse. La Iulm Communication School lavora quindi non solo sui propri studenti ma anche su quanti pur avendo fatto percorsi formativi non necessariamente di laurea, possano trovare momenti di formazione nell’offerta di programmi, master, corsi brevi, seminari e workshop su singoli temi.

Ad esempio?

Abbiamo tenuto una giornata di formazione per i giovani di Angaisa (che associa i distributori di materiale termosanitario e termoidraulico) sul tema del passaggio generazionale circa le nuove competenze del futuro. Stiamo anche cercando di costruire un percorso per Confapi Lombardia e per Confcommercio proprio su questi temi. Sono esempi di come stiamo cercando di lavorare con istituzioni e associazioni per dare un contributo di metodo e conoscenza proprio sul tema del passaggio generazionale fra i lavoratori.

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