L’Hub del cashmere in Mongolia. Si fa strada il progetto comasco

Tessile L’imprenditore comasco Francesco Saldarini attivo tra Bruxelles e il Paese asiatico. L’obiettivo è controllare l’intero ciclo produttivo, oggi in parte svolto dalle aziende cinesi

Un National Production Hub in Mongolia che, una volta stabilizzato, potrebbe triplicare il pil tessile nazionale, contribuendo allo sviluppo del Paese.

L’imprenditore comasco Francesco Saldarini, proprietario e amministratore delegato di Saldarini 1882, nel 2023 ha firmato una lettera d’intenti con il Sindacato degli allevatori mongoli (Mnfpug) e con l’associazione degli industriali mongoli, l’equivalente della nostra Confindustria, per la realizzazione di un polo produttivo in Mongolia, un investimento di circa 60milioni di euro e tecnologia italiana.

«Questo progetto consentirà di svolgere in Mongolia le prime fasi di lavorazione del cashmere, attualmente affidate alla Cina, che agisce come distributore in un sostanziale regime di monopolio – spiega Saldarini - Lavorando la fibra direttamente nel Paese, dalla fase di lavaggio fino alla cardatura e alla filatura, sarà possibile vendere il prodotto finito direttamente agli acquirenti, garantendo alla Mongolia il profitto che oggi finisce nelle mani cinesi. Gli acquirenti sosterrebbero lo stesso costo attuale, ma i ricavi verrebbero destinati direttamente all’economia mongola».

Un piano che interessa tutti gli attori coinvolti, supportato anche dal nostro Ministero degli Esteri. «A dicembre ho incontrato Tapan Mishra, il coordinatore residente delle Nazioni Unite in Mongolia, stiamo discutendo e collaborando per ottenere il supporto ufficiale dell’Onu a questo progetto di sviluppo che ha l’obiettivo di offrire alla Mongolia e ai suoi allevatori nomadi un futuro sostenibile, stabile, duraturo, significativo e in grado di generare un vero cambiamento».

A Bruxelles la scorsa settimana Saldarini ha incontrato inoltre Louis Michel (ex commissario europeo per la Cooperazione Internazionale, ex vice primo ministro e ministro degli Affari Esteri del Belgio) e padre di Charles Michel (ex presidente del Consiglio Europeo): «Abbiamo discusso il progetto del National Production Hub per il settore del cashmere sostenibile in Mongolia. Gli ho riferito gli ultimi aggiornamenti per capire se fosse possibile avere supporto anche a livello comunitario».

Le Nazioni Unite in Mongolia hanno rilanciato sui social l’incontro che aveva al centro il polo produttivo; c’è entusiasmo, ma «serve una delibera ufficiale per convalidare quello che per ora è solo un indirizzo». Si tratta di colloqui di alto livello, nei quali rientrano le politiche di diversi governi, «step abbastanza complessi e lunghi, ma il fatto che abbiano reso pubblici i colloqui, significa molto».

Nel 2018 Saldarini e il Sindacato degli allevatori nomadi mongoli (Mnfpug) hanno avviato una partnership in joint venture per la creazione di un “Market Place” internazionale dedicato alla fibra di cashmere proveniente da allevamenti certificati come “Sustainable Herding”, che rispettano l’equilibrio fragile della steppa. L’obiettivo è permettere alle aziende occidentali produttrici di cashmere (che riforniscono i brand del lusso) di acquistare direttamente in Mongolia, senza doversi rivolgere ai commercianti cinesi, che attualmente detengono il monopolio del mercato.

I numeri

Oltre il 40% della fibra di cashmere mondiale è prodotta in Mongolia, ma l’85% del cashmere mongolo viene esportato grezzo in Cina, senza generare valore aggiunto per il Paese. Il cashmere è la prima voce del pil non minerario della Mongolia ed è prodotto dagli allevatori nomadi, che rappresentano più di un terzo della popolazione. È la principale merce di esportazione della Mongolia verso il nostro Paese, con le industrie italiane che sono i secondi maggiori acquirenti al mondo dopo la Cina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA