Libera circolazione
Gli industriali ticinesi
stanno con i frontalieri

L’Aiti si schiera contro la proposta dell’Udc che, se accolta, rischia di far saltare gli accordi bilaterali, «Grave danno, più di metà dell’export è verso i Paesi Ue»

I frontalieri hanno un alleato in più in vista della consultazione federale del prossimo 27 settembre, che di fatto rappresenta un tagliando importante forse decisivo sul gradimento dei nostri lavoratori e dell’Europa da parte dell’elettorato svizzero. L’influente Associazione delle industrie ticinesi, nelle ultime ore, ha formalizzato il “no” fermo alla proposta di scissione dall’Europa targata Udc e già ribattezzata da qualche osservazione con l’appellativo di Swissexit, sull’onda emotiva della Brexit.

L’analisi

In una lunga e dettagliata nota, l’Aiti ha posto al centro del dibattito politico ed economico alcune questioni di fondamentale importanza, a cominciare dal fatto che «solo nel 2018 la Svizzera ha esportato merce per un valore pari a oltre 120 miliardi di franchi verso l’Unione Europea, il che corrisponde a più della metà di tutte le esportazioni. L’annullamento degli accordi bilaterali avrebbe ripercussioni molto negative per l’economia svizzera e le piccole e medie imprese in particolare». C’e’ poi un altro dato di assoluto rilievo e cioè che «dagli studi commissionati in questi anni emerge che, senza gli accordi bilaterali, in meno di 20 anni il prodotto interno lordo subirebbe una flessione pari al 5 fino al 7 per cento, cioè fra circa 33 e 46 miliardi di franchi».

Dunque per la Svizzera, già duramente provata dall’emergenza Covid-19, si tratterebbe di un colpo da “ko” senza eguali.

Aiti segnala poi un altro pericolo concreto che il “si’“ alla consultazione federale porterebbe in dote: «Vi è il rischio che l’Unione Europea metta in discussione, oltre agli accordi bilaterali, anche altri accordi con la Svizzera, quali quelli di associazione a Schengen e a Dublino. L’accettazione dell’iniziativa metterebbe quindi fondamentalmente in dubbio la via bilaterale tra la Svizzera e l’Unione Europea».

Si tratta di uno dei nodi al centro del dibattito politico con il fronte referendario a sostenere che non vi sono automatismi e che i bilaterali, in caso di vittoria dei sì, potrebbero davvero decadere solo con il voto unanime dei Paesi Ue.

Tornando ad Aiti, inevitabile anche un richiamo alla situazione ticinese: «La libera circolazione delle persone è tema particolarmente sentito e dibattuto in Canton Ticino, regione di frontiera esposta a un mercato di molti milioni di persone come quello della Lombardia. In questi anni di applicazione degli accordi bilaterali sono stati creati migliaia di nuovi posti di lavoro in Ticino, che sono stati occupati anche da persone residenti».

Il dibattito

Anche da qui nasce il “no” fermo dell’Aiti alla Swissexit. Il dibattito resta più che mai aperto. È di ieri l’intervento, l’ultimo della serie, a gamba tesa del consigliere nazionale in quota Udc, Piero Marchesi: «È vero: negli ultimi 15 anni nel terziario sono stati creati più di 40 mila nuovi posti di lavoro, ma 2 su 3 sono andati a frontalieri e molti di quelli esistenti sono passati da lavoratori svizzeri a frontalieri. Con il ritorno alla gestione dell’immigrazione con tetti massimi, contingenti e preferenza indigena, per ogni nuovo posto di lavoro i lavoratori svizzeri avranno sempre la preferenza». E tra meno di un mese la parola passerà alle urne.

© RIPRODUZIONE RISERVATA