L’importanza di sviluppare le soft skills: «Necessarie per tutti i lavori»

Intervista Le aziende chiedono sempre di più capacità di lavoro in staff, problem solving e gestione delle emozioni

Gestire sé stessi, le relazioni con gli altri, prendere decisioni e saper gestire le emozioni. Sono in sostanza queste le soft skills su cui le aziende hanno sempre investito con corsi di formazione. Solo che prima erano per pochi, ora sono necessarie per tutti i lavoratori», afferma Barbara Imperatori, professoressa di Organizzazione aziendale in Università Cattolica.

Professoressa, perché oggi tutti devono avere soft skills per ottenere un posto di lavoro?

Oggi prevale in tutte le organizzazioni un’incertezza ambientale unitamente a un disegno organizzativo volutamente più flessibile. Fattore, questo, che porta anche a scaricare sulle persone l’onere del rischio delle decisioni e della gestione della propria carriera, e bisogna che le persone sappiano come fare. Le organizzazioni stanno cambiando e cambiano quindi anche le loro richieste, ma le soft skills fondamentali non cambiano. L’aspetto più rilevante sta nel fatto che in anni passati erano importanti solo per alcune posizioni, al punto che sembravano essere rilevanti per una carriera prevalentemente manageriale che richiedeva competenze per gestire sé stessi, gli altri, essere equilibrati, consapevoli e altro. Ma, appunto, sembrava fossero utili solo per qualcuno, e solo per alcuni settori e alcune aree aziendali, quelle che richiedevano più flessibilità sui mutamenti. Gli studi considerano anche i deragliamenti di carriera, relativi a persone su cui magari le aziende hanno investito con una certa quantità di corsi tecnici, ma che a un certo punto escono dai binari di carriera. Investimenti che perlopiù in passato si sono concentrati solo su alcuni profili in azienda. Si sono indagate le ragioni, quasi sempre riconducibili a scarsa capacità di lavorare con altri e a bassa consapevolezza di sé. Oggi la formazione anche sulle soft skills va fatta su tutti i lavoratori.

Cos’è cambiato nel frattempo?

Oggi ci sono due fattori dirompenti: primo, oggi le soft skills sono, appunto, richieste a tutti, sia ai giovani che si affacciano al mercato del lavoro e sia a chi è a metà carriera. Servono per entrare e restare nel lavoro in modo equilibrato. Secondo, c’è il dato sulla forte incertezza ambientale, che ha due origini: la velocità e l’imprevedibilità della direzione dei cambiamenti in atto. C’è una complessità dei fenomeni e dei contesti che le persone e le aziende devono considerare per le loro decisioni. È in atto un cambiamento continuo, profondo e incerto: ciò fa sì che le organizzazioni debbano attrezzarsi con modelli molto più flessibili, che lasciano più libertà alle persone. Ma quest’ultimo è un dato che crea in un certo senso tensione. Non è più il capo a far da parafulmine, a distribuire il lavoro e a fare chiarezza sulle procedure: il cambiamento coinvolge tutti, a tutti i livelli. Qui entrano in gioco le soft skills.

Quali sono le più richieste in un mondo di imprese sempre più tecnologiche?

L’Oms ne parla dal 1993, in abbinata al tema delle life skill che secondo me è un’espressione molto meno fuorviante. Il concetto non è nuovo, è invece nuova la portata della loro diffusione. Peraltro, qualcuno le chiama human skill e qui c’entra il tema tecnologico. Con la tecnologia entra in gioco molto altro che bisogna saper utilizzare secondo certi criteri. Entrano in gioco la creatività e il pensiero critico. La tecnologia sollecita molto di più sul fattore umano del comportamento, perché sta diventando un nuovo collega di lavoro, ad esempio con l’intelligenza artificiale. Le macchine danno risposte, ma il lavoratore deve sapersi rapportare con le giuste domande, con capacità di pensare fuori dagli schemi, con capacità di problem solving originale. Le soft skills sono competenze fondamentali per l’uso della tecnologia, che fa le cose per le quali è programmata, ma noi dovremo sempre saperne fare altre, oggi e in futuro. E’ tutto più difficile, ma anche più interessante: dobbiamo saperci conoscere molto di più, assumerci più rischi, fare le nostre scelte e saperci autoregolare. Queste sono le capacità sempre più richieste. Non a caso nell’ultima classifica mondiale il creative thinking è la skill con aspettativa di crescita più alta delle altre.

Le soft skills possono essere create e sviluppate?

Tutte le ricerche confermano che competenze si possono allenare, ci si può preparare, possono essere oggetto di apprendimento attraverso corsi di comunicazione, gestione dello stress, team work, capacità di influenza sono cose che si possono allenare. Ma lo sviluppo di tali competenze richiede tempo affinché si produca un cambiamento. Si tratta di competenze che solitamente tutti noi agiamo sulla base di una sorta di routine: nessuno ci ha insegnato a comunicare, ma lo facciamo. Lo stesso vale per i tratti caratteriali di leadership o di predisposizione alla collaborazione con altri, fattore importante per un futuro lavoro in team: aspetti di cui magari non ci rendiamo conto ed ecco perché è importante l’auto consapevolezza per sviluppare al meglio certe capacità. In fase di selezione ora ogni azienda verifica determinate attitudini, in mancanza delle quali non è disposta ad investire in formazione e, quindi, ad assumere.

È necessaria una base innata su certe competenze?

Le competenze in generale sono costituite da sapere (le conoscenze che si hanno), saper fare (frutto di esperienza), e saper essere che si sostanzia nelle soft skills che sono: competenze cognitive (prendere decisioni, soluzione dei problemi), competenze relazionali (lavoro in team, necessario in organizzazioni ormai sempre più complesse), competenze emotive (gestione delle emozioni e dello stress, visto che stare in un mondo incerto significa assumersi dei rischi e quindi riuscire ad essere equilibrati). E fra le soft skills emerge anche la capacità di autoconsapevolezza, che ha a che vedere coi propri punti di forza, con la capacità di controllarsi. Tutto ciò per dire che il “saper essere”, che include le competenze comportamentali, sono le più vicine alla base innata e ai tratti di personalità. Per allenare le competenze bisogna avere esperienza, che ciascuno di noi si costruisce in base a ciò che si percepisce come più affine a sé stessi. Ad esempio, c’è chi avendo un tratto di personalità estroversa si mette più in gioco nella relazione con gli altri.

Ci vuole tempo ed è quindi bene iniziare molto presto?

Non sono un’esperta di sistemi scolastici, ma penso che il nostro sistema scolastico sia fortissimo. I nostri studenti all’estero sono apprezzatissimi sul tema delle competenze tecniche e sui contenuti, inclusi quelli di carattere umanistico. Purtroppo diamo meno spazio di altri sistemi scolastici alla formazione sul lavoro di gruppo. Ed è ovviamente vero che se le soft skills si possono apprendere occorre che qualcuno le insegni. Così come ci sono corsi su tante materie dovremmo inserire anche queste, come materie curriculari scolastiche. Per imparare davvero le soft skills bisogna agire, comportarsi, serve allenamento e quindi tempo. Bisogna incentivare i ragazzi a fare esperienza, scambi internazionali, abituarli alla flessibilità, alle attività di volontariato che stimolano l’autoconsapevolezza, come cerchiamo di fare in università.

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