Tecnologia con un’anima si svela il robot sociale

L’intervista Progettato per l’impiego nella cura di persone e nei servizi con il pubblico. ScentDia sfrutta l’olfatto per migliorare l’interazione

Il 21 febbraio alle 18.30 al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano sarà presentato in anteprima mondiale il robot sociale ScentDia, frutto della collaborazione fra l’Università Iulm , attraverso il suo Centro di Ricerca sui Sistemi Complessi (CriSiCo), e la University of New South Wales di Sidney. L’apertura al pubblico è prevista dalle ore 19.30, per l’opera che rimarrà esposta fino al 2 marzo.

Tecnologia, robotica sociale, filosofia e arte si uniscono nella realizzazione di un robot sociale a supporto (non in sostituzione) dell’attività umana di cura alle persone (bambini, anziani) e anche alle attività di impresa soprattutto nel terziario dei pubblici esercizi, dei centri commerciali, del marketing. ScentDia è la terza opera della serie Diamandini, un’opera artistica, da museo, creata con una dimensione innovativa.

Un’opera che ha un’innovazione tecnologica che sarà poi da trasferire nei luoghi performanti (aziende di servizi e servizi di cura) e che è già all’attenzione di aziende di robotica. Con un protagonista importante: l’olfatto per un robot che si fa “sentire” da chi lo utilizza. Ne parliamo con Luisa Damiano, filosofa della scienza dell’Università Iulm. Per il progetto Damiano la curato la parte filosofica ed etica, mentre realizzatrice primaria del robor sociale è Mari Velonaki, artista e robotica alla guida del team australiano. La dimensione olfattiva è stata curata dall’artista profumiere Manos Gerakinis.

Professoressa, come opera il robot ScentDia?

L’opera ha un’innovazione tecnologica rivoluzionaria e si basa su una concezione di robot sociale che vuole essere un connettore sociale che potrà essere applicato nell’assistenza sanitaria, nell’educazione, nella cura di persone fragili, nel marketing, nell’intrattenimento.

Un esempio di cosa intende in questo caso per connettore sociale?

Se costruiamo macchine in grado di rispondere a tutte le esigenze, ad esempio, di una persona in perdita di autonomia, ciò significa chiudere la persona in un isolamento. Se invece costruiamo il robot come connettore sociale utilizzandolo per sviluppare una rete sociale di supporto allora tutto cambia. Ad esempio, se il robot usa le sue capacità di leggere le espressioni anche emozionali e verbali della persona per avvertire la famiglia e i medici della necessità di intervento, allora lo rendiamo connettore sociale. Ma ciò dipende da come vogliamo costruire la tecnologia: conta che ci sia un’attenzione etica positiva è fondamentale. È fondamentale che discipline come la filosofia, la sociologia, l’antropologia più tutte le discipline mediche entrino nella costruzione della tecnologia. Non sono sempre certa che in luoghi dove c’è maggiore apertura verso le nuove tecnologie tale tipo di costruzione sia realizzata in modo critico e generativo. Delegando le nostre relazioni di aiuto a una macchina i rischi sono quelli di isolamento sociale radicale che nel giro di un paio di decenni cambierebbero il nostro tipo di società.

Integrazione e non sostituzione, non solo nei servizi di cura ma anche nei servizi alle persone erogati da imprese del terziario?

Certamente, nello stesso modo dobbiamo fare attenzione. La robotica sociale pensa alle macchine come a dei partner e non come a dei sostituti. Un partner che funziona in modo diverso da noi, ha capacità diverse dalle nostre e quindi deve avere un ruolo diverso. Noi ci occupiamo di utilizzare in positivo i vincoli etici per poter partecipare attivamente attraverso il dialogo fra discipline alla costruzione di una tecnologia sostenibile anche socialmente. L’integrazione di queste macchine può essere un enorme vantaggio se gestita in modo critico: non un’entusiastica accettazione né una tecnofobica repulsione, ma un atteggiamento critico che implichi il coinvolgimento di tutte le discipline e anche dei cittadini nel decidere come vogliamo creare questa tecnologia.

Miglioramento etico, ma quanto c’è da fare sulla normativa visto che è di questi giorni la spaccatura fra Paesi al summit di Parigi per la firma di un documento sull’intelligenza artificiale “affidabile”?

C’è moltissimo da fare sulle norme, così come lo siamo anche nella produzione di linee di ricerca filosofica ed etica che entrino nella realizzazione di queste tecnologie. Bisognerebbe istituire delle cooperazioni transdisciplinari in origine, nella progettazione delle tecnologie. Se inseriamo la riflessione etica e filosofica fin dall’inizio della progettazione lo scenario cambia totalmente, perché vengono prese angolazioni completamente diverse sulla realizzazione.

Perché nel progetto è tanto importante la dimensione olfattiva?

La dimensione olfattiva è un fatto molto profondo della nostra socialità, radicato nella nostra storia evolutiva. L’artista profumiere ha creato un profumo specifico per il robot e ciò sulla base della scelta filosofica ed etica che abbiamo posto alla base del progetto, che è quella di creare dei partner e non dei sostituti. Un profumo completamente diverso dai profumi per umani e che non cerchi di imitare il nostro odore umano né quello animale. Il profumiere ha sviluppato questo posizionamento filosofico ed etico in un profumo che dà una profondità storica: ha pensato alle origini degli automi donna nella Grecia antica, ed essendo il robot creato in Australia ha scelto una fragranza metallica che si associa a fragranze australiane e greche. In situazioni di assistenza, immaginiamo l’importanza per persone cieche o sorde nel percepire la presenza del robot disegnato per supportarle nelle loro varie attività attraverso l’olfatto. Un’innovazione unica che potrebbe avere ricadute enormi.

Lei collabora con specialisti robotici: quali devono essere le nuove linee di ricerca sulla robotica sociale?

Bisogna cercare di aprire linee di ricerca che, per esempio, cerchino di vedere come cambiano le nostre condotte etiche e valoriali quando interagiamo con degli oggetti che non sono meramente oggetti, dal momento in cui noi li percepiamo come partner sociali rispetto ad altri tipi di tecnologia.

Perché li percepiamo così?

Li percepiamo così perché questi robot usano i nostri segnali sociali: sono diversi dalle persone ma li intendiamo come partner con cui agire socialmente. Stanno in una terra di mezzo tra il dominio degli oggetti e il dominio dei soggetti. Sono un nuovo tipo di entità.

Dobbiamo chiederci in che modo, interagendo con noi, questo nuovo tipo di entità cambia le nostre scelte valoriali e le nostre condotte etiche. Ci sono domande che dobbiamo porci prima della diffusione dei robot sociali e che dobbiamo affrontare anche sperimentalmente unendo le competenze di filosofi etici e di robotici nei laboratori trovando soluzioni implementative. Un aspetto molto interessante dei robot sociali sono anche un mezzo di autoconoscenza visto che per fare interagire al meglio questi robot inseriamo delle informazioni su di noi, su chi siamo in senso sociale, affettivo, cognitivo.

In Estremo Oriente la robotica sociale è una realtà da tempo, già commercializzata soprattutto per la fascia di aiuto agli anziani. In cosa si differenzia il progetto ScentDia?

Sì, in Cina e in Giappone esistono da tempo progetti avanzati di robotica sociale. I cinesi, ma soprattutto i giapponesi, hanno una prospettiva etica diversa dalla nostra, sono molto più aperti all’interazione con le macchine su ruoli anche importanti.

Sono molto meno vincolati a un’etica che, nel nostro caso, è molto più attenta a valutare i rischi legati all’interazione sociale e anche affettiva con una macchina.

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