Tra l’artigianato e i giovani va costruito un dialogo

L’intervista Stefano Micelli, docente di Economia a Ca’ Foscari, guarda alle difficoltà delle imprese ad attrarre i ragazzi

Anche nelle attività di orientamento «per attrarre i giovani va diffusa una nuova idea di lavoro artigiano e farlo è responsabilità delle associazioni d’impresa. Non possiamo aspettare che ogni azienda racconti ogni volta sé stessa. Lo deve fare chi le rappresenta tutte».

Lo afferma Stefano Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, fondatore dello spin off Upskill 4.0 e responsabile scientifico di “Its 4.0”, progetto avviato nel 2018 dal Miur e sviluppato in collaborazione con il dipartimento di Management di Ca’ Foscari.

Professore, c’è una fuga di giovani dalle attività artigiane manifatturiere. Quanto possono fare un giusto orientamento e la formazione nel trattenerli o indirizzarli verso le imprese del settore?

Per indirizzare i giovani oggi serve uno sforzo per identificare e comunicare la destinazione lavorativa verso l’artigianato, per ridefinire, soprattutto da parte delle associazioni di rappresentanza, cosa sia oggi il lavoro artigiano e in che modo possa essere di interesse, stimolo e crescita per un giovane. E non può essere un’attività di indirizzo verso il passato, deve invece tracciare un futuro indicando un percorso credibile, di crescita umana, professionale, economica. È un aspetto che oggi naturalmente non riguarda solo le imprese artigiane, dal momento che sia le grandi imprese sia le piccole industrie si stanno ponendo lo stesso problema di attrattività verso i giovani.

Un esempio di ciò che si dovrebbe fare?

Ad esempio, pensiamo alle tante aziende iscritte al Alta gamma e all’enorme sforzo fatto per avviare l’iniziativa “Adotta una scuola”, percorso in cui le tante aziende dell’associazione chiedono alle scuole che i giovani siano sensibili a un’idea di lavoro che poi si esprime all’interno dell’impresa. Tante piccole imprese oggi fanno più fatica rispetto al passato nel raffigurare una rappresentazione di sé proiettata sul futuro. Uno dei problemi delle piccole imprese è mettere insieme collettivamente, non individualmente, un’idea di lavoro artigiano nella prospettiva futura. Tuttavia uno dei temi su cui vedo un’attenzione e anche un entusiasmo è vedere che il lavoro artigiano si sposa con le nuove tecnologie

La via d’uscita sta nell’unire mestieri tradizionali e informatica?

Oggi è difficile orientare le persone al mestiere tradizionale del calzolaio, ma guardando ad alcune esperienze come “Calzolaio Max”, ben presente su Instagram e su Tik-Tok dove ha centinaia di migliaia di follower e dove su ogni paio di scarpe che ripara pubblica dei bellissimi reel per raccontare in modo originalissima il proprio mestiere, immediatamente quel lavoro diventa stimolante e anche divertente.

Le rappresentanze di categoria possono intervenire con campagne di sensibilizzazione?

Sì. In proposito per indirizzare sul settore Confartigianato ha fatto molto, ad esempio con la proposta di “Valore artigiano” e con la rappresentazione di figure positive che hanno incarnato una nuova idea di artigianalità. È la strada giusta, ma ritengo che vada fatto uno sforzo ulteriore e che a fronte di indicazioni che possono essere date alle famiglie e ai giovani dobbiamo trovare modelli forti di riferimento. La Rete è uno strumento potente per raccontare un’idea interessante di lavoro su determinati ruoli professionali, anche considerando che oggi il legame fra artigianalità dei mestieri e innovazione tecnologica è molto stretto. Non sto dicendo che l’artigiano debba per forza lavorare con l’intelligenza artificiale ma, di certo, deve saper comunicare il proprio lavoro e coinvolgere i giovani.

I dati della Cgia di Mestre documentano una caduta delle attività artigiane tradizionali a favore di nuove professioni dell’informatica. È ancora artigianato?

È difficile rispondere senza valutare sui diversi casi concreti. Ricordo anche che oggi c’è un problema demografico per cui i giovani scarseggiano. Non mancano solo artigiani, mancano anche infermieri, medici e molto altro. Al netto di questo, dobbiamo mettere a fuoco e condividere un’idea di lavoro che sia, da un lato, coerente con una tradizione e una storia e dall’altro sia attrattiva per giovani che in questo momento hanno un approccio alla tecnologia digitale senza la quale, anche nell’artigianato, non c’è “contemporaneo”, non c’è un appiglio interessante per i giovani. Artigianalità e racconto del lavoro è possibile attraverso le nuove tecnologie.

Artigianato e Its: quanto stretto può essere questo legame per migliorare la competitività di certi settori artigiani? Quali ne beneficerebbero?

Anche su ciò c’è uno sforzo ulteriore da compiere. I mestieri classici del made in Italy, dalla moda all’arredo casa, all’agroalimentare, all’alberghiero, fino alla meccanica hanno un grande bisogno di artigianalità sofisticata. È anche vero che in questo momento i soggetti più attivi nel formare, nell’interloquire con gli Its sono aziende medio-grandi che hanno colto l’urgenza di un dialogo serrato con gli Its.

I piccoli sono poco consapevoli di tale opportunità?

Frequento questo mondo da molti anni e osservo una consapevolezza maggiore nella media e nella grande impresa, ma non mi sembra di vedere la stessa determinazione nelle piccole imprese, le quali sembrano non cogliere la necessità di essere attrattive. Oggi le grandi aziende sono consapevoli della necessità di promuovere fra i giovani la propria visibilità, il mondo delle piccole imprese, al netto della necessità di rappresentare il lavoro artigiano in forma innovativa, deve anche sapersi raccontare. Le associazioni di categoria devono aiutare le proprie imprese sotto questo aspetto, in un momento in cui i giovani hanno a disposizione un’ampia gamma di scelte con la Rete, non si tirano indietro. Anche rispetto all’innovazione degli Its le associazioni di categoria devono aiutare gli artigiani a dialogare col mondo dei giovani, considerando che peraltro le imprese artigiane stanno anche invecchiando e tale dialogo può aiutare almeno in parte il ricambio generazionale. A condizione che le imprese collettivamente si rendano interessanti.

La distanza fra giovani e mondo artigiano si lega anche a una diversa concezione che i ragazzi hanno del lavoro e dell’utilizzo del tempo?

Per la mia generazione il successo era trovare un lavoro e guadagnare dei soldi, oggi per un giovane l’idea di percorso di carriera, di successo e di remunerazione è un po’ diversa. C’è una necessità maggiore di trovare un senso di vita, di conciliare lavoro e vita privata e altro: quella dei giovani oggi è una richiesta più complessa e diversa rispetto al passato. Oggi gli imprenditori artigiani, che in Italia hanno un’età media intorno ai cinquant’anni, devono assolutamente imparare a dialogare con i giovani e una volta costruito tale dialogo si può costruire una proposta. Se invece si ripropongono le stesse formule del passato il rischio è quello di rafforzare dei cliché. Coi giovani bisogna mettere in campo soluzioni che favoriscono l’autonomia, una vita di soddisfazione, un’idea di comunità al lavoro ma, di nuovo, bisogna mettere a fuoco una nuova idea di lavoro artigiano. E su questo le rappresentanze hanno una forte responsabilità.

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