La morale della favola è che la “fetida” politica, alla fine, ha sempre la meglio sull’antipolitica. Che questa sia una favola, sia pure con un fine magari non lieto, lo dimostrano anche la presenza di un Grillo parlante e “vaffante” e di un Conte che vuole farsi re, ma rischia di restare senza corona e, senza scorta, se questa è rappresentata dai voti che, vedi alla voce Liguria, stanno precipitando. In più il fondatore ha chiamato in causa altri personaggi fiabeschi quali lupi e pecore. La storia, lo avete capito è quella del Movimento Cinque Stelle che rischia ora di diventare polvere degli astri, polvere da sparo, anche, per fortuna solo in senso politico, visto quello che sta accadendo tra il fondatore, il Grillo (Beppe), appunto e il presidente il Conte (volendo Beppe anche lui in quanto Giuseppe). Quello che i due si dicono non è “l’heilà Beppe” dell’irresistibile personaggio della strip Lupo Alberto, Enrico La Talpa. Anzi, se stanno cacciando di ogni.
Ma per tornare all’incipit di questo articolo bisogna andare a vedere dove è avvenuto il “parricidio” di Conte contro Grillo, a cui sono stati tolti i 300mila euro annui che il Movimento gli corrispondeva in veste, più o meno, di consulente per la comunicazione. L’ex capo dei due governi lo ha fatto al cospetto di Bruno Vespa, per farlo inserire nel suo ultimo libro natalizio, di cui, come sempre, cominciano a essere diffuse le anticipazioni.
Insomma i Cinque Stelle, quelli che all’inizio aborrivano le presenze tv, gli anti sistema contro il regime, i profeti della rete come media principe se non unico, compiono un passaggio più che cruciale della loro storia dal conduttore tv, additato come emblema del regime e in un libro. Basterebbe finirla qui per capire quello che si sa già, cioè che i pentastellati sono stati assorbiti in toto da quella politica che volevano cambiare, aprendo il Parlamento come una scatoletta di tonno. E hanno fatto loro la fine di quello così tenero che si tagliava con un grissino.
In realtà le due Camere le aprono quasi ogni giorno dai portoni dorati, attraverso i quali accedono agli scranni per due o più mandati non si sa, e una delle questioni in sospeso tra i due Beppe. Come andrà a finire la contesa non si sa. Di certo per i Cinque Stelle nulla sarà più come prima. Conte, va detto, ha già dato prova di suprema spregiudicatezza, guidando due governi di colore diverso (il primo con la Lega, il secondo con il Pd) senza neppure passare dal via come al Monopoli. Vedremo come uscirà dopo il licenziamento di fatto di Grillo, che qualche adepto nel Movimento ce l’ha ancora e mostra i muscoli da tenutario del “marchio”. Il rischio del tribunale è tutt’altro che peregrino. E anche un effetto sull’elettorato. Ma è la politica, bellezza. Che prevale sempre.
Ricordate quello che oggi è il più antico partito sulla piazza italiana, la Lega? Possiamo dire che non sia immersa fino al collo nel sistema? Che sia ancora una forza dell’anti politica? Eppure alle origini, mulinava slogan da Roma ladrona, proclami di secessione, eleggeva parlamenti nordici ed eversivi, gridava “Forza Etna”. Oggi il suo leader, eletto formalmente in un collegio senatoriale della Calabria, tenta di realizzare, come ministro delle infrastrutture, il ponte sullo Stretto. Ripetiamo: è la politica, più che mai “romana”, con il suo marciume, la sua corruzione, la sua sordida scaltrezza. Ma che alla fine fa sempre la parte della Grecia che riuscì a conquistare Roma (che all’epoca era l’antipolitica nel tempio della politica ateniese) la quale la voleva sottomettere. Certo lo fece con la cultura e la bellezza, non con i mezzi della politica sempre più da bassissimo impero, dei giorni nostri. Ma nella sostanza poco cambia. Tutti i rivoluzionari, al primo sentore di pioggia, aprono l’ombrello e rincasano. Sarà per la prossima volta, se mai ce ne sarà un’altra. Anche per i Cinque Stelle.
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