È stato uno spettacolo surreale quello andato in scena a Davos, in occasione del 50esimo World Economic Forum. Ospite di un incontro promosso dal New York Times è infatti arrivata Greta Thunberg che ha lanciato il suo allarme. «Nessuno se lo sarebbe aspettato», ha detto. «C’è una maggiore consapevolezza e il cambiamento climatico è diventato un tema caldo. Ma da un altro punto di vista non è stato fatto nulla, le emissioni di Co2 non sono state ridotte ed è questo il nostro obiettivo. La nostra casa sta ancora bruciando e la vostra inazione sta alimentando le fiamme ora dopo ora».
Nel pomeriggio dal palco ufficiale ha invece preso la parola Donald Trump, che ha rivendicato trionfalmente i successi dell’economia americana («Sono orgoglioso di dire che gli Stati Uniti sono sbocciati. Abbiamo realizzato cose che il mondo non ha mai visto prima. L’America prospera e vince come mai prima d’ora»). Il presidente americano si è scagliato contro i «perenni profeti perenni di sventura e le loro previsioni sull’apocalisse». È stata la sua risposta all’accusa di Greta risuonata qualche ora prima: «Non avete fatto nulla».
Difficile immaginare che in uno stesso contesto possano trovare due visioni così radicalmente opposte e così impermeabili a qualsiasi tipo di dialogo. Tra Greta e Trump, tra la ragazzina dall’aria profetica e il presidente spavaldo della più grande potenza del mondo si frappone inoltre un’altra sostanziale differenza. «Non posso certo lamentarmi di non essere ascoltata, vengo ascoltata in continuazione», ha detto Greta, consapevole dell’impatto mediatico che la sua figura ogni volta registra. Ma a questa attenzione, non seguono fatti. Segue indignazione, seguono timide scelte di stili di vita estemporanee, ma nessuna scelta in grado di cambiare le cose. «Le persone sono più consapevoli ora», ha detto Greta. «Grazie alla spinta dei giovani sembra che il clima e l’ambiente ora siano un argomento caldo. Allo stesso tempo, però, non è stato realizzato nulla. Le emissioni globali continuano ad aumentare».
All’opposto per Donald Trump non c’è distanza tra il dire il mettere in atto i suoi piani. È un presidente che può agire senza rendere conto delle conseguenze che le sue decisioni hanno, per esempio, proprio sui problemi drammaticamente sollevati da Greta. Quella di Trump è una visione a senso unico, dove l’unica cosa che conta è l’interesse della superpotenza che vuole riportare, costi quel costi, in una posizione di leadership economica mondiale.
A Davos quindi è andata in scena anche questa clamorosa asimmetria, in virtù della quale oggi vince a man bassa una prospettiva unilaterale ed egoistica contro quello che è, ad ogni evidenza, un interesse globale e collettivo. È una questione che non a caso è stata sottolineata anche da papa Francesco nel messaggio inviato ai partecipanti al World Economic Forum. «Voglio attirare l’attenzione sull’importanza di una ”ecologia integrale” che tenga conto delle implicazioni complete della complessità e dell’interconnessione della nostra casa comune», ha scritto Francesco. «Un tale approccio etico rinnovato e integrato richiede un umanesimo in grado di riunire i diversi campi della conoscenza, compresa l’economia, al servizio di una visione più integrale e integrata».
Oggi il rischio che il mondo sta correndo è quello di soccombere ad un’egemonia unilaterale da parte di un leader che non ammette di discutere le implicazioni delle proprie scelte. Trump dice che quelli come Greta sono “profeti di sventura”; è però più probabile che in realtà, con la sua azione destabilizzatrice di tutti gli equilibri, sia lui alla fine il principale responsabile di sventure per il pianeta.
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