Vero che il centrosinistra, per la prima volta nella storia della Seconda Repubblica, non ha i numeri in Parlamento per eleggere da solo il presidente della Repubblica. Va anche detto però che neppure ha un candidato. Enrico Letta ha provato a sondare Giuseppe Conte, leader precario dei Cinque Stelle, sull’ipotesi Paolo Gentiloni e si è sentito rispondere che i post grillini mai voteranno “er moviola”, soprannome dell’attuale commissario europeo per gli Affari economici. Restano in campo molti nomi sciolti: da Dario Franceschini a Walter Veltroni. Forse un pensierino lo sta facendo lo stesso attuale segretario del Pd. E certo Massimo D’Alema conserva questa eventualità nell’ampio fodero delle proprie ambizioni. Poi ci sarebbe Pierfurby Casini, in grado di ottenere consensi trasversali, ma che si porta dietro il peccato originale di essere sponsorizzato da Matteo Renzi, consapevole del fatto che, dati i numeri, anche la sua esile pattuglia parlamentare gli consente possibilità di manovra.
Il centrodestra l’uomo l’avrebbe: “nientepopodimenoche” Silvio Berlusconi, che a forza di riapparire al centro della scena ha oscurato la fama storica del “rieccolo” Amintore Fanfani. Il Cavaliere, lanciato all’unisono dalla litigiosa coppia dei suoi alleati Meloni-Salvini, sembra crederci. Neppure la sua coalizione avrebbe i consensi per garantirgli l’elezione, anche partire dal quarto scrutinio (quando basta la maggioranza semplice). Ma l’ex premier, nel segreto del voto presidenziale potrebbe contare su appoggi nel gruppo Misto e forse sul voto “tattico” di qualche pentastellato per scongiurare la fine anticipata della legislatura (Draghi resterebbe a palazzo Chigi) e non perdere la poltrona, o magari anche nel sostegno di Renzi e Calenda che, una volta sistemato Silvio al Quirinale, potrebbero lanciare un’Opa su ciò che resta di Forza Italia. Certo, le controindicazioni per il Berlusconi capo dello Stato sono parecchie. Anche se il Cav è cresciuto nella considerazione internazionale, ha superato la fama di “gaffeur” nei vertici, anche volendo non ha più l’età per i “Bunga Bunga” (forse si è accreditato come argine al sovranismo dei suoi alleati, resta sempre un condannato in via definitiva per frode fiscale. C’è poi l’incognita della salute. Anche se, per la recente apparizione al vertice del Ppe, l’hanno messo lì come un giovanotto, l’ex premier presenta parecchi problemi acuiti dagli strascichi del Covid contratto in forma grave. Spesso, infatti, sparisce per parecchio tempo dalle scene, con ogni probabilità per ricorrere a cure. Un presidente della Repubblica ha l’agenda sempre piena e non può permettersi lunghe assenze. Non sono più i tempi in cui comunicati del Quirinale sul “sensorio che resta vigile” consentirono ad Antonio Segni, gravemente infermo dopo un ictus, di restare in carica ancora qualche mese. Infine c’è la maledizione del “candidato ufficiale”. Finora, con l’eccezione di Enrico De Nicola e Francesco Cossiga, sono stati bruciati tutti e vi erano nomi come quelli di Amintore Fanfani e Giulio Andreotti.
Visto che queste cose le sanno tutti, il dubbio che si insinua è quello per cui la candidatura del Cavaliere con tutte le conseguenze, possa essere stata lanciata da Meloni e Salvini per far sì che, in alternativa, si creino le condizioni per quella di Mario Draghi. In questo modo si libererebbe palazzo Chigi e sarebbe difficile, anche per l’attuale premier dal Colle, gestire la situazione in modo da evitare le elezioni anticipate. Solo un sospetto? Chissà. Certo per molti, a partire dal segretario del Pd, la soluzione ideale sarebbe quella di una rielezione anche a tempo di Sergio Mattarella in modo da mantenere lo status quo. Ma l’attuale inquilino del Colle ha fatto capire in ogni modo possibile di non sentirci da quell’orecchio e non certo con l’approccio della volpe davanti all’uva irraggiungibile perché lui il suo grappolo può continuare a degustarlo senza problemi. Oltretutto, salvo situazione di vera emergenza politica come quella che costrinse Giorgio Napolitano a disfare i bagagli già pronti, il mandato presidenziale italiano, lungo quasi il doppio, per esempio di quello statunitense, scoraggia il bis.
Allora si vedrà come andrà a finire. Perché quella del Colle è davvero la madre di tutte le partite politiche. Da lei discendono tutte le altre.
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