Berlusconi, la morte della grande notizia

E così, quando è morto Berlusconi, siamo arrivati a dedicargli addirittura 38 pagine. Non tutti, certo. Qualcuno è arrivato “solo” a 34, qualcun altro “solo” a 32. Ma nessuno dei giornali è rimasto sotto la soglia delle 30 pagine.

Quando è morto Wojtyla, non le abbiamo fatte 38 pagine. E neppure quando è caduto il Muro. E neppure quando hanno ucciso Moro. E neppure per le Torri Gemelle. Insomma, abbiamo stabilito un record. Ma forse è giusto così, forse Berlusconi ha inciso nel costume, nella mentalità, nell’antropologia culturale, nell’orizzonte collettivo - sia di chi lo adorava sia di chi lo detestava - addirittura più di un Papa, più di un attacco terroristico, più di mezza Europa che riconquistava la libertà. Più di tutto. E questo è quanto. Scandalizzarsi o fare i moralisti è inutile.

E quindi, il primo giorno 38 pagine. E chi era e dove era nato e come era cresciuto e come aveva iniziato la carriera e cosa si era inventato e come aveva immaginato il futuro e come aveva capito gli italiani, gli italiani veri, gli italiani profondi, gli italiani perenni, e come si era plasmato su di loro per plasmarli a sua volta e tante tante altre cose che ci dicono come tutto questo fosse eterno e indimenticabile.

E il giorno successivo abbiamo comunque fatto 30 pagine. E così abbiamo raccontato come aveva stravolto l’edilizia e come si era inventato una città tutta nuova alle porte di Milano, ma più bella e verde e riservata, e tutti quanti ci siamo convinti del fatto che anche questa cosa fosse eterna e indimenticabile.

E il giorno dopo abbiamo comunque fatto 25 pagine raccontando la sua avventura nel mondo della televisione, di come aveva scardinato il regime monopolista democristiano, ma pure comunista, e come aveva liberato gli spiriti animali della concorrenza (?), del disimpegno, della leggerezza, dello svago diastratico dell’italiano medio stufo e arcistufo del bianco e nero, degli sceneggiati sui Karamazov e sui mulini del Po, delle tribune elettorali con Jader Jacobelli e dei programmi dell’accesso. E anche questo ci è sembrato eterno e indimenticabile.

E poi, il giorno dopo, una volta raccontati i funerali in diretta assoluta nazionale e quindi la famiglia e quindi i potenti d’Italia tutti lì riuniti e affranti e gli amici e i seguaci e i reduci e gli orfani, abbiamo comunque fatto 20 pagine, nelle quali si narrava della straordinaria trasformazione dello sport nazionale, del pallone conquistato e sedotto e stravolto grazie a una squadra fallita e retrocessa e condannata da lì in poi invece il più implacabile schiacciasassi destinato a fare incetta di trionfi nazionali e soprattutto internazionali, alla faccia dei cugini derelitti e degli arroganti savoiardi. E anche questo ci è sembrato eterno e indimenticabile.

E poi il giorno dopo, con 15 pagine, è toccato alla politica, alla fine della prima repubblica e alla rivoluzione (?) di Manipulite e al grande vuoto pneumatico del potere e alla stanza dei bottoni che se non l’avesse occupata lui se le sarebbero presa gli odiati comunisti e un nuovo partito inventato in quattro e quattr’otto e la fine delle ideologie, la fine dei programmi, la fine della vecchia selezione della classe dirigente, insomma, la fine di un mondo, e anche qui un mondo nuovo, il leaderismo, il verticismo, il paternostrismo del capo assoluto e carismatico e la seconda repubblica e lo sdoganamento di quelli che arrivavano dalle fogne e di quelli che venivano giù dalle valli. E pure questo ci è sembrato eterno e indimenticabile.

E poi, il giorno dopo, abbiamo comunque fatto 10 pagine su lui e le sue ricchezze, lui e le sue ville, lui e le sue donne e le ragazzine e le signore e l’universo femminile e le serate e le bandane e Apicella e tutto il bel vivere, la voglia di vivere, la dannazione di vivere, così ostentatamente ricordata anche dall’arcivescovo di Milano ai funerali, questo vitalismo assoluto, questo dominio dei sensi e dell’addentare la vita in tutte le sue forme, anche quelle più improprie e imbarazzanti - pur di vivere, vivere, vivere! - e anche questo ci è sembrato eterno e indimenticabile.

E nei giorni successivi abbiamo comunque fatto ancora 5 pagine, anche per ricordare lui e gli statisti del mondo, lui e Gheddafi, lui e Bush, lui e la Merkel, lui e la regina Elisabetta, lui e Putin, lui e Putin soprattutto, e le sue intuizioni di politica estera davvero mirabili e anche qui c’è sembrato che tutto questo fosse eterno e indimenticabile.

E nei giorni a seguire, uno dopo l’altro, abbiamo comunque fatto 4 pagine e poi 3 e poi 2 e poi 1, senza però dimenticare la guerra dei trent’anni con i magistrati e tutti gli altri in colonna e la guerra agli intellettuali di sinistra che tanto lo odiavano, ma intanto intascavano i soldi da Mediaset o da Mondadori, e la guerra a quelli che lo odiavano, ma che soprattutto non lo amavano e questa era una cosa che davvero non poteva sopportare: perché non lo amavano?

E poi, a un certo punto, sembrava passato un secolo o forse due o forse mille anni tanto eravamo certi che questo evento fosse l’Evento destinato a cambiare i destini del mondo - e invece erano trascorse solo due settimane - di pagine non ne abbiamo più fatte. Nemmeno una. E ci siamo ritrovati senza neanche accorgercene tutti quanti di nuovo presi dai nostri problemi, dalle nostre miserie, dalle nostre infamie, prigionieri dei nostri piccoli mondi, della nostra insulsa vita dozzinale, delle nostre microscopiche e micragnose preoccupazioni, che sono sì miserabili, ma che sono le uniche che ci interessano, perché questa è la nostra natura. Questa.

E così, alla fine, come è sempre successo per tutte le cose del mondo dalla sua creazione a oggi e come succederà da oggi alla fine dei tempi, è sgorgata spontanea la domanda che nelle case degli esseri umani - e nella redazioni dei giornali - segna da sempre, per quanto possa sembrare incredibile, la “morte” della Grande Notizia e il suo ingresso definitivo nel Regno dell’Oblio: “Berlusconi chi?”.

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