Ho letto con interesse e tutto d’un fiato la lettera di Remo Ruffini alla sua città, una vera dichiarazione d’amore per la rinascita del nostro territorio. Ho letto altresì con grande interesse anche i commenti espressi da grandi imprenditori comaschi, da Roda sino a Briccola e Pittorelli. Come non essere d’accordo? Sia sui temi generali, sulla solidarietà per chi ha vissuto la malattia o chi ha perso i propri cari, sulla programmazione di un’auspicata e indispensabile ripresa economica, sulla necessità di lavorare con responsabilità in assoluta sicurezza. E poi sulla coesione, sull’unità, sulla solidarietà.
Da imprenditore del centro lago chiaramente non posso non sottolineare che qui ci si sente un po’ isolati, non esiste un tessuto industriale diffuso per fare fronte comune e quindi è giusto guardare a Como e in particolare a Confindustria per sposare azioni comuni per il bene della collettività. In centro e alto lago le paure, le incertezze e le speranze sono ovviamente concentrate sul settore turistico e quindi tutte le attività connesse, ci vorranno anni per recuperare le posizioni perdute.
Voglio però sottolineare che il settore turistico è l’unico che non può essere delocalizzato: un’azienda industriale può spostare la produzione dove ha maggiore convenienza, non parliamo del terziario dove i dipendenti possono essere sparsi per il mondo, ma se un visitatore vuole godere delle bellezze del nostro Lario deve venire per forza qui, e quindi occorrerà lavorare molto su marketing e comunicazione.
Tornando al discorso generale: le proposte per un’azione concertata e programmata sulla ripartenza sono sicuramente iniziative di natura eccezionale, ma sono il minimo sindacale per non cadere in una spirale negativa perversa. Prima di tutto consideriamo le varie emergenze che dobbiamo affrontare: la prima ovviamente è quella sanitaria, con migliaia di persone ricoverate, il sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva, l’alto numero di deceduti, medici e personale sanitario a ritmi serrati e a loro volta a contatto col virus, lo stop a tutte le attività chirurgiche di routine non urgenti. La seconda è quella economica finanziaria, e chiaramente a riguardo si è detto di tutto e di più, considerando che ci sono studi che prevedono decine di milioni di disoccupati a livello mondiale. La terza, ancora da venire, sarà l’emergenza sociale, non solo per difficoltà della famiglie con lavoratori a salari ridotto o senza più posto di lavoro e imprenditori che perderanno tutto, ma anche per un rischio di una diffusa patologia depressiva che può seriamente influire sulla salute di milioni di persone. Ecco quindi che gestire in contemporanea situazioni diverse, ma intimamente collegate tra loro, non sarà semplice ma va previsto e pianificato per tempo.
Concordo quindi su misure di natura governativa, ma non vorrei essere una voce stonata nel coro dicendo che sono pessimista considerando il livello della nostra classe politica. Chi mi conosce sa sono allergico ai politici nazionali: non giudico in base all’ideologia o allo schieramento, nemmeno in base alla persona e quindi a simpatia, ma a che quello che una persona dice o meglio fa. E qui siamo al deserto, in un momento storico in cui l’unico fine è apparire, avere i like sui socials, e strombazzare ai quattro venti sondaggi elettorali favorevoli. Le indicazioni per una rinascita citate da Ruffini sono importanti e fondamentali, ma per la maggior parte sono cose che altri Paesi fanno normalmente: un fisco trasparente, equo, e competitivo rispetto alla media UE, una burocrazia snella e non penalizzante e oltre tutto costosa per le imprese e i cittadini, degli strumenti finanziari efficaci. Lo studio della CGIA di Mestre dove si evince che le inefficienze e gli sprechi della Pubblica Amministrazione costano al nostro Paese 200 miliardi dimostra che in situazioni di normalità forse nessuno fa caso a questo dato, ma ora in momenti di emergenza tutti i nodi vengono al pettine. Inoltre con un fisco equo si recupererebbe buona parte dei 100 miliardi di evasione, ed attireremmo imprese e holding in Italia, avete provato a vedere i grandi gruppi o le finanziarie dove hanno la propria sede? Quanto gettito fiscale perdiamo?
Due parole sull’Unione Europea, altri nodi che vengono al pettine. Poca solidarietà e tanto egoismo verso l’Italia, quando eravamo gli unici in Europa in una situazione di criticità, persino il blocco in alcuni Paesi dei dispositivi medici di protezione personale destinati al nostro Paese. Nessun accordo su una politica comune sanitaria, e tante discussioni e veti per quanto riguarda una politica economico-finanziaria comune.
Le critiche e le perplessità sono state molte ma, come detto prima, se in una situazione di normalità i cittadini europei sorvolano sulle inefficienze e incongruenze della politica comunitaria, ancora una volta in una situazione d’emergenza certe situazioni di incertezza non possono essere tollerate. Occorre pensare che già in Italia siamo soffocati e penalizzati dalla burocrazia, sia in termini come detto di costi, inefficienze e complicazioni, se poi a ciò si somma la burocrazie UE significa lo sperpero inutile di centinaia di miliardi che potrebbero essere destinati a politiche e strutture in campo sociale, sanitario, culturale e economico.
Questo momento di difficoltà e incertezza non deve essere solo un momento di solidarietà, di azioni comuni anche a livello politico, occorre rifondare un Paese in mano a politici improvvisati e litigiosi, e in molti casi senza alcuna competenza specifica, e la UE in modo che sia una struttura di coesione sovranazionale agile, solidale e utile per la collettività.
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