Caso rider: la politica
si consegna alle procure

La politica nostrana non perde mai occasione di regalarci momenti di genuino buonumore. Tra gli aspetti più spassosi di questa nuova stagione spicca infatti l’attivismo compulsivo dei capi e capetti dell’amplissimo schieramento governativo che, chissà perché, si sentono in dovere di intervenire su tutto e che invece, come chiunque di voi avrà già ben capito, contano addirittura meno di quanto conta chi scrive questo pezzo a casa sua. Cioè zero.

La verità vera è che il capolavoro dello sfascio culturale, etico e addirittura antropologico, lombrosiano di partiti e movimenti, nessuno escluso, salvo rarissime eccezioni, è quello di aver consegnato il governo al massimo e oggettivamente autorevolissimo rappresentante dei tanto detestati - a parole - poteri forti e, ultima novità, il ministero del Lavoro alle Procure. Ottimo risultato, complimenti ai nostri statisti di destra, di centro e di sinistra.

Il caso, davvero paradigmatico di quello che siamo diventati grazie a un trentennio di anti politica, di anti casta, di anti tutto, di uno vale uno, di chiunque può fare qualsiasi cosa e di chi ha studiato è un imbecille, si è manifestato con la decisione della Procura di Milano di infliggere una multa di 733 milioni alle principali aziende del food delivery per violazione del testo unico in materia di tutela della salute e di sicurezza sul posto di lavoro e di imporre l’assunzione con un contratto di lavoro parasubordinato di 60mila rider, che fino ad oggi erano inquadrati come lavoratori autonomi o occasionali. Un’iniziativa senza precedenti, visto che anche il Tribunale di Barcellona è intervenuto sullo stesso tema qualche mese fa, ma solo su alcune centinaia di casi singoli, così come la Corte suprema di Londra in un caso specifico relativo agli autisti di Uber. Mai con una decisione collettiva su tutti i lavoratori in quanto tali.

Ora, al netto del fatto che sarebbe curioso capire come siano state analizzate una a una le posizioni di 60mila addetti, se volevamo una prova provata del fallimento verticale, radicale e omnicanale della politica nello svolgimento delle sue funzioni, beh, questa è quella prova. Rafforzata dal ridicolo plauso del ministro del lavoro Andrea Orlando all’iniziativa della magistratura, che ha messo le mani e i piedi dentro un fascicolo che era suo e che lui - e i suoi predecessori - avrebbe dovuto studiare, istruire e risolvere. Plauso che ha dato il via al classico cortocircuito nel quale tutti si sono affrettati a dire se erano d’accordo o meno con il procuratore senza capire, o facendo finta di non capire, che la cosa inammissibile in sé, al di là dei contenuti, è che la magistratura commissari politica e sindacato e che questi siano ben lieti di far risolvere a lei, e alla sua maniera, una questione nella quale hanno dato ampia prova di impotenza. Anzi, di totale disinteresse. E non fatevi infinocchiare dalle solite tirate moralistiche e demagogiche infarcite di “e basta!”, “vergogna!”, “schiavisti!” perché queste declamazioni servono solo a sventolare un drappo rosso che aizza i fan senza agire per nulla sulla polpa della faccenda, che tanto è sempre colpa di qualcun altro.

La questione della cosiddetta gig economy è complicata.È ambigua. È un vero caos che scaturisce da quel caos che è il mondo nuovo post industriale, post ideologico e post tutto, nel quale non valgono più nulla o quasi nulla le vecchie categorie novecentesche e, soprattutto, i vecchi contratti standard che accompagnavano i lavoratori dall’assunzione alla pensione. Quindi, è del tutto intollerabile - intollerabile! capito? intollerabile! - che ci siano persone costrette a lavorare per quattro euro lordi all’ora, senza contributi e senza tutele sanitarie, ma al contempo è del tutto grottesco - grottesco! - che si chieda per loro il contratto base dell’impiegato del catasto di Aci Trezza con tanto di tredicesima, quattordicesima, vitto, alloggio, lavatura, imbiancatura e stiratura, perché questo non fa parte del profilo, nuovissimo, sfuggente e inquietante di questo tipo di lavoro. E allora qui, per gestire questa enorme complessità ci vorrebbero delle teste pensanti, dei tecnici di altissimo livello, dei professionisti del settore fatti e finiti, insomma, delle persone serie, che studiassero la pratica e trovassero un modo del tutto nuovo e innovativo per tenere assieme diritti dei lavoratori, domanda del mercato e sostenibilità delle aziende. Questo ci saremmo aspettati del preclaro governo gialloverde, e invece grandi sonni olimpici perché basta ululare “dagli al negro!” e “abbiamo abolito la povertà!” per risolvere i problemi del mondo. Questo ci saremmo aspettati dal preclaro governo giallorosso, e invece grandi sonni olimpici perché basta ululare “posto fisso e sovvenzioni per tutti!” e “viva l’Europa!” per risolvere i problemi del mondo.

E infatti niente. Una grande, continua, diuturna, vergognosa rimozione da parte di tutti, da quelli di sinistra che non sanno più da decenni cosa significhi fare battaglie di sinistra, perché chi non fa parte delle terrazze di quelli intelligenti è un buzzurro e un troglodita, e da quelli di destra, che sono anni che ce le piallano, ce le fanno a dadini su quanto siano loro di destra quelli che amano veramente il popolo e pensano che farsi un selfie mentre sbafano polenta e brasato significhi amare il popolo, dimenticando che la destra è destra quando fa la destra e che la destra sarebbe anche una cosa seria ad altre latitudini e fuori dal circo Barnum della nostra penosa politichetta provinciale.

Ivi compresa l’ultima improvvida iniziativa dell’assemblea nazionale dei “Rider x i diritti”, che ha deciso di indire uno sciopero - a proposito di strumenti sorpassati… - per venerdì 26 marzo, invitando tutti i clienti a non usufruire del servizio in quella data in segno di solidarietà e che ha offerto il destro al solito bontempone di buttare tutto in caciara: ma come, li hanno appena assunti in 60mila e già fanno sciopero?

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