In un capitolo dell’autobiografia “Confessioni di un borghese”, Sándor Márai - magnifico scrittore mitteleuropeo, molto più interessante di Kundera - racconta come da bambino avesse assistito dal balcone di casa all’esplodere improvviso di una rissa in piazza.
Alcuni operai avevano aggredito il capomastro che gli aveva decurtato la paga, i poliziotti erano accorsi in difesa dell’uomo, dei soldati di leva bighellonanti avevano a loro volta attaccato gli agenti e in un attimo erano spuntati baionette e coltellacci e aveva iniziato a scorrere il sangue, fino all’arrivo dei gendarmi che, a colpi di fucile, avevano riportato l’ordine: “Fu un pomeriggio memorabile. A me parve di intuire che gli uomini non si comprendono tra loro e che, anzi, sono divisi da un odio implacabile, un odio che riescono a camuffare temporaneamente, alla bell’e meglio”. Márai aveva capito che quello che aveva vissuto fino ad allora, il suo appartamento da benestante, il panorama, le lezioni di latino con il precettore, i pranzi domenicali, la scuola, la famiglia e tutto il resto fosse solo un’illusione e che invece quel pomeriggio aveva visto qualcosa di “autentico” del mondo, la sua verità, la sua essenza: “La prima cosa che dovetti imparare fu che gli uomini senza un motivo particolare, anzi, senza nessuno scopo, infieriscono gli uni sugli altri ogni volta che possono e che ciò deriva dalla loro natura, e quindi è inutile dolersene”.
E’ una riflessione formidabile, di uno che aveva vissuto tutti gli orrori del Novecento, ma che aveva ben capito che quella forza lì, quel magma demoniaco che cova nel fondo dell’anima degli esseri umani non prevede distinzioni geografiche, sociali, etniche e cronologiche. C’è sempre, dai tempi dei tempi, e sempre ci sarà. E’ per questo che fanno un po’ sorridere - amaramente - le riflessioni sulla gravità, sulla eccezionalità, sull’unicità di quello che è accaduto in Israele e come non ci si capaciti che dopo tanti secoli di storia e di civiltà e di progresso e di evoluzione e di educazione possano ancora succedere cose del genere, come possano essere massacrati in un giorno mille ebrei e come potranno essere massacrati nel giro delle prossime settimane migliaia, probabilmente decine di migliaia di palestinesi. Sembra assurdo. Sembra inaudito. Sembra impossibile. E invece non lo è. E’ assurda la nostra sorpresa, prodotta dalla pace, pseudo pace o finta pace che ci ha imbozzolato negli ultimi ottant’anni - solo in Occidente, ovviamente – e che ci ha fatto credere che quella roba lì fosse solo il lascito di un passato ormai morto e sepolto e che le magnifiche sorti e progressive della civiltà globale, globalizzata e digitale avessero preso il sopravvento per sempre. Un mondo di latte e miele.
Quanto siamo sciocchi. E ignoranti. E superficiali. Quanto niente sappiamo della storia, di noi, del mistero fangoso che è l’uomo. Secoli e secoli e secoli di progresso e di diritti acquisiti e di conquiste sociali, economiche, mediche e di democrazia e di uguaglianza e di libertà e di fraternità e bla bla bla per arrivare al Novecento, il secolo più evoluto e colto e civile della storia e che – curiosamente - è anche il secolo che ha prodotto più lutti di tutti gli altri. Decine e decine e decine di milioni di morti ammazzati tra guerre, guerriglie, stragi, genocidi, lager, gulag, pulizie etniche, deportazioni e decimazioni nei confronti dei quali il massacro di sabato scorso è una roba da niente. E come mai il secolo più sviluppato e democratico ha prodotto lo sterminio più incalcolabile? C’è qualcosa che non va, evidentemente.
La verità è che non è cambiato niente. Anzi, è cambiata una sola cosa. La capacità tecnica, tecnologica di togliere la vita agli altri. Perché un conto è uccidere il rivale usando un osso come lo scimmione di “2001 Odissea nello spazio” - in quella scena c’è tutto - e un conto è uccidere il rivale con mitragliatori, cannoni e bombe atomiche. E’ cambiata solo la nostra perizia nel far fuori gli altri, non la nostra volontà, questo sarà il caso che tutti i benpensanti e tutte le madamine e tutti i tromboni del vogliamoci bene se lo ficchino in testa. E’ dai tempi degli assiri e dei babilonesi che le città vengono rase al suolo, i bambini decapitati, le donne stuprate e gli uomini passati a filo di spada. L’uomo è quella roba lì, non altra, ci sono tremila anni di storia a dimostrarcelo, ci sono centinaia di pagine della Bibbia a certificare cos’è il nostro cuore di tenebra, il nostro cuore cavo e gonfio di liquami come un pitale come scriveva il cattolicissimo Pascal, l’uomo schiavo degli umori più bassi e della demagogia della folla come scriveva il cattolicissimo Manzoni, l’uomo intriso di sangue, violenza e vendetta come scriveva la cattolicissima, inarrivabile Flannery O’Connor, l’uomo degradato e sfregiato dallo scandalo come scriveva il cattolicissimo Testori.
In questi anni di benessere e ricchezza e comfort e vacanze e weekend a Camogli e apericene con la gente che piace alla gente che piace abbiamo perso le coordinate della realtà, della realtà effettuale, del principio di realtà. E abbiamo perso la conoscenza della nostra vera natura. Lo ricordava in un’intervista fulminante - reperibile sui profili social dell’editore Adelphi – il più grande scrittore del Novecento. Céline ironizzava su quelli che dicono che gli uomini vogliono tutti la pace, chiedono tutti la pace, aspirano tutti alla pace. Non è così. Se gli uomini volessero la pace, diceva, nessun soldato si sarebbe mai presentato al fronte, nessuno avrebbe mai imbracciato un fucile, tutti avrebbero disertato e mai ci sarebbe stata una guerra nella storia del mondo. E invece gli uomini ci vanno di corsa alla guerra, ci vanno al trotto, al galoppo perché loro, nel loro intimo, vogliono uccidere e dominare e schiacciare e sterminare. Ma ancora di più - e qui il nichilismo di Céline arriva ai più inquietanti livelli di profondità – gli uomini dentro di sé, senza rendersene conto, vogliono morire. Vogliono distruggersi. Vogliono sparire.
Gli anni Duemila sono solo un nuovo secolo dopo tanti altri, nel quale è riemerso, armato fino ai denti, l’ottuso assassino sceso dalle piante nella preistoria. Rieccolo qua, il solito vecchio Uomo. Sempre lui. Sempre lo stesso. Dopo aver visto gli sgozzati dei kibbutz, brutto scoprire chi siamo, vero?
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