Chiamata di correo per la Como che pensa

Quella di Ron era “per cantare”. Como, invece, sarebbe una città “da pensare”.

Il tema è piombato al centro di quella che non voleva certo essere un’innocua conviviale organizzata dal Lions Host, in collaborazione con gli altri due club Baradello e Plinio.

A confronto, gli esponenti di tre culture politiche forse definibili del passato, ma ancora accese sotto la cenere: quella cattolico-sociale, con Paolo Furgoni, presidente del Centro Culturale De Gasperi; la liberaldemocratica, rappresentata da Ilvo Tolu, presidente del Circolo Einaudi, e da Sergio Gaddi, coordinatore provinciale di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Cultura in Consiglio regionale; e infine quella socialista riformista, incarnata da Giuseppe Battarino, esponente del Comitato Matteotti.

È stato proprio Gaddi, al termine di un intervento sul ruolo dell’arte nella costruzione di città confortevoli e sull’onore, e onere, per i loro abitanti nel mantenerle tali, a lanciare la provocazione della “chiamata di correo” per le teste pensanti di Como.

Una città in cui, come ha sottolineato Mario Gorla, presidente del Lions Host, c’è fermento. E anche, si può aggiungere, un sindaco e un’amministrazione comunale dinamici. Come questo dinamismo sia orientato, lo devono valutare i cittadini. Ma una quota importante di pensiero e di messa in gioco della classe dirigente, ampiamente rappresentata nella conviviale, era presente in sala: accanto a Enzo Pifferi, celebrato come fresco Abbondino e capace di produrre, con la sua arte fotografica, un pensiero fatto di immagini.

Così come c’erano, in veste di uditori, la vicesindaca Nicoletta Roperto e il presidente del Consiglio comunale Fulvio Anzaldo. Chissà se saranno usciti dalla cena con un po’ di “fame di pensiero” da trasmettere anche ai colleghi.

Certo, i grandi assenti, come ha sottolineato Tolu, sono i partiti nella loro accezione tradizionale di incubatori di proposte per l’amministrazione. E forse anche gli statisti, come Giacomo Matteotti, ricordato da Battarino nelle sue esperienze di amministratore locale, molto produttive. O come Alcide De Gasperi, del quale Furgoni ha ricordato la figura di uomo di confine tra il declinante Impero asburgico e la nuova Italia. Como è città di frontiera, con tutte le problematiche che questo comporta: su tutte, la fuga verso il Ticino di categorie essenziali di lavoratori.

Provare a utilizzare il pensiero, nell’epoca dei social, non è impresa facile. Ma non per questo bisogna abdicare, specie se serve al bene della collettività in cui si vive.

E se questa domanda di pensiero possa, e soprattutto voglia, essere recepita dall’attuale governo della città o debba invece servire a plasmare il successivo, conta poco. Di certo, sul tappeto le questioni non mancano: a partire dal nuovo stadio, un impegno che vincolerà una porzione fondamentale della città per le prossime tre generazioni, su cui il confronto sta scivolando verso una pericolosa radicalizzazione. Oppure il dibattito sulle funzioni cittadine dopo la chiusura di importanti scuole del centro. O ancora la contraddittoria questione dell’overtourism.

Proprio lo stadio è frutto di un pensiero lungimirante: quello della giunta guidata da Mario Lucini, con l’allora assessore all’Urbanistica Lorenzo Spallino, che ne ha vincolato la collocazione. Immaginatevi il dibattito attuale se fosse ancora in campo l’opzione dello spostamento.

Insomma, il filo non manca. E nella città della seta è inevitabile auspicare che qualcuno abbia voglia di tesserlo e soprattutto sappia farlo.

Del resto, come cantavano i Pooh, “il pensiero non deve restare chiuso”. Neppure nelle più che apprezzabili conviviali dei Lions.

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