Mentre i nostri statisti non perdono occasione per mostrarci quanto sono autorevoli e all’altezza dei tempi tragici che ci tocca vivere - uno si è tolto la pochette, un altro si è messo degli occhiali di uno strano colore, un altro ancora ha imparato a infilarsi una mascherina, l’ultimo prende un chilo a ogni minaccia di crisi di governo: quattro giganti… - parole di profondissima saggezza arrivano dall’ultimo dei luoghi dal quale te le aspetteresti.
Nell’autobiografia di Giorgio Chiellini (“Io, Giorgio”), in uscita fra qualche giorno e anticipata ieri da una lunga intervista su Repubblica, il difensore della Juventus e della Nazionale, ripercorrendo le tappe principali di una carriera luminosa, dedica un passaggio al tema del suo rapporto con l’Inter. Anzi, non tanto con l’Inter, non è questo il punto, quanto con l’odio: “Io odio sportivamente l’Inter come Michael Jordan odia i Pistons. Non posso non odiarla. L’odio sportivo è quello che ci spinge a superare l’avversario, è una componente essenziale dello sport”. Apriti cielo. Potete immaginarvi il circo che si scatenerà nelle prossime ore su questa frase che verrà di certo utilizzata come nuovo tassello dell’infinita saga dei rapporti velenosi e avvelenati che lega le due squadre più amate e odiate d’Italia - e a questo punto si arrabbieranno pure i milanisti… - che da quando calcio è calcio dettano l’agenda del baraccone pallonaro nazionale tra insulti, infamie, arbitri venduti, retrocessioni in serie B, scudetti di cartone, coppe che non la vincete mai, vendette, ritorsioni e bla bla bla.
Ma la chiave di volta non è questa. La validità del ragionamento di Chiellini, che, checché se ne dica e benché in campo randelli a destra e a manca, è tutt’altro che uno stupido, sta tutta nel rivelare una verità tanto essenziale quanto inconfessabile della vita. E cioè, di quanto l’odio sia un sentimento poderoso, vitale, potentissimo. Molto più potente dell’amore, tanto per essere chiari. Pensateci bene, quante persone conoscete che si sono amate per tutta la vita, ma davvero per tutta la vita? Una? Due? Zero? E invece, quante persone conoscete che si sono odiate per tutta la vita, di un odio così profondo e feroce e implacabile da sopravvivere e autoalimentarsi per anni e anni al punto che uno si dimentica pure la ragione di quell’odio, ma nonostante questo lui persiste, consiste e sussiste? Diciamoci la verità, decine di decine. E anche questo vorrà pur dire qualcosa.
L’odio è una classica vittima del politicamente corretto, che lo ha incasellato nella griglia delle cose brutte che non si devono vedere, di cui non si deve parlare e alle quali, se proprio non se ne può fare a meno, ci si deve sempre riferire in chiave negativa. Non è successo lo stesso con la morte? Eppure, se non vogliamo fare sempre e comunque i farisei, l’odio è un sentimento che può rivelarsi addirittura positivo, un acceleratore formidabile, una benzina a mille ottani, un propulsore senza eguali per la vita degli uomini. Quando Chiellini dice che l’odio sportivo è quello che ti spinge a superare l’avversario ha ragione mille volte, perché chiunque abbia praticato lo sport agonistico sa bene quanto la motivazione psicologica, la furia conquistatrice, la volontà di “annientamento” dell’altra squadra sia determinate per prendersi una partita. Lo sport agonistico è vittoria, è sopraffazione, è dominio, è conquista dello spazio vitale, rispettando norme, regolamenti ed etica sportiva, ci mancherebbe, ma pur sempre volontà di potenza. Tutto il resto sono chiacchiere e distintivi da circolo del bridge.
E allo stesso modo, l’odio è il carburante eccelso della perseveranza, grazie alla quale chi parte dal nulla, chi non ha niente, chi culla un sogno, chi cova un desiderio, riesce ad esaudirlo. Dicono che il segreto del successo - che non è economico, sociale o politico: è il conseguimento di un obiettivo esistenziale dirimente - sia la cultura o il genio o il talento. Beh, non è così. La cultura? Il mondo è pieno di cretini laureati. Il genio? Il mondo è pieno di geni incompresi. Il talento? Il mondo è pieno di persone che hanno sotterrato i propri talenti. No, l’unico vero segreto è la perseveranza, la volontà cocciuta e infaticabile, l’odio, l’odio agonistico, l’odio esistenziale contro tutto quello che ti contrasta, quello che ti frena, le pastoie, i vecchi schemi, le rendite di posizione, le camarille, i parametri, i garantiti, i mandarini, gli inamovibili, i lazzaroni, quelli che “si è sempre fatto così”, quelli che ti hanno sempre trattato come un fallito e ai quali devi dimostrare che invece era vero il contrario. Insomma, la tua guerra contro tutti.
L’importante, però, è usarlo senza farsene avvelenare. Avete presente i cosiddetti “odiatori” del web? È una definizione sbagliata. Quelli non sono pervasi dall’odio. Quello non è odio, quel bell’odio sano, pulsante, vigoroso, color pervinca. No, quello è livore verdastro, rancore giallognolo, astio color topo bagnato. Quelli lì che si annidano negli angoli più melmosi delle rete - e degli uffici - a tramare e a brigare e a mestare e a trescare aspettando che quelli che si danno da fare commettano un errore - chi lavora sbaglia - per poi pontificare alla macchinetta del caffè che loro sì che sarebbero stati capaci, loro sì che avrebbero inventato questo e quello, loro sì che avrebbero deciso per il giusto e che invece sono vittime - in quanto puri e incorruttibili - del complotto di lorsignori, dei poteri forti, delle trilaterali e tutto il resto della loro ridicola cultura dell’alibi, bene, quelli lì non sono degli odiatori, altrimenti avrebbero combinato qualcosa di buono nella vita. Quelli lì sono solo degli sfigati.
Chiellini di certo non lo è. E se ha vinto tanto pur non essendo Beckenbauer lo deve alla sua capacità di “odiare” gli avversari. E se ve lo dice uno come chi scrive questo pezzo, che al solo sentire la parola “Juventus” gli vengono le bolle in faccia, potete stare sereni.
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