Il dibattito politico nella repubblica delle banane è sempre di altissimo livello. Siamo nel 2025 e si litiga su Mussolini. Roba fresca. Roba forte. Roba frizzante.
D’altra parte, l’occasione era imperdibile, il centesimo anniversario del celeberrimo discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925, nel quale il duce ha assunto su di sé ogni responsabilità del caso Matteotti e che sarà seguito dal varo delle cosiddette “leggi fascistissime” che avrebbero trasformato il Regno d’Italia in un regime. Evento storico di rilievo assoluto, analizzato e studiato dai migliori storici italiani e stranieri di qualsiasi orientamento e da tempo del tutto definito dalla storiografia ufficiale. In questo senso, il fascismo è ormai davvero “storia”.
Ma evidentemente, chissà perché, non basta. In questi giorni si sentono un po’ tutti obbligati a dire e a scrivere cose particolarmente intelligenti, particolarmente esclusive e particolarmente inquietanti su Mussolini, sulla dittatura e sul fascismo che, indovinate un po’, non è mai morto, è eterno e che è pronto a ritornare e a fare disastri grazie a questa destra autoritaria, autarchica, antidemocratica, vessatoria, razzista, machista, antifemminista e bla bla bla. Si leggono di quelle cose sui giornali di sinistra, si sentono di quelle cose nei talk show di sinistra che mettono davvero di buonumore.
Ora, tanto per essere chiari, il tema del fascismo ritornante è da un punto di vista storico risibile, da un punto di vista giornalistico ridicolo, da un punto di vista politico suicida. Ce ne sarebbero di argomenti - tasse, scuola, sanità, mercato del lavoro… - per i sedicenti intellettuali di sinistra e per i sedicenti statisti di sinistra per fare un mazzo tanto a questo governicchio di mezze figure che sta in piedi solo e soltanto grazie alla solidità, al carisma, al camaleontismo e, soprattutto, alla furbizia della premier. Ma niente, non ce la fanno proprio. Meglio fiondarsi sul Babau Mussolini ora e sempre.
E a questo proposito, anche la nuova serie televisiva di Sky tratta dalla trilogia mussoliniana di Antonio Scurati (già fatta a pezzi in tempi non sospetti da Ernesto Galli Della Loggia) si teme che vada in questo senso. Poi magari si rivelerà bellissima, ma nel vedere i trailer sembra che il duce (interpretato dal pur bravo Luca Marinelli) sia una via di mezzo tra il Pinguino di Batman e l’ex gerarca Ermanno Catenacci, inventato dell’inarrivabile Giorgio Bracardi, quando urlava “In galera!!”. E’ vero che un regista può fare quello che vuole della storia, può modificarla, plasmarla e pure stravolgerla. Ma se ci prova Tarantino con Hitler in “Bastardi senza gloria” viene fuori un mezzo capolavoro, se invece ci si applica Joe Wright con il Benito nazionale si rischia di scivolare nel grottesco. Ma vedremo.
Forse in questo florilegio di inutili e occhiute inchieste giornalistiche – “il fascismo sta tornando!”, di inutili e vocianti talk show televisivi – “il fascismo sta tornando!!” - e di inutilissimi, paraculissimi e cazzullissimi libri rivelazione – “il fascismo sta tornando!!!” – forse è meglio ricordare che non esiste nulla di più inedito del già edito. E che c’è un libro del 1938, “Nascita e avvento del fascismo”, scritto da Angelo Tasca, uno dei fondatori del Pci (un comunista di quelli veri, di quelli che mangiavano i bambini, mica Veltroni o la Schlein), nel quale c’era già tutto. Nel senso che un comunista di cento carati, nel bel mezzo degli anni del regime, aveva già smontato pezzo per pezzo tutta la pomposa propaganda che aveva sempre impedito alla sinistra di capire quel fenomeno. E di venirne così travolta lei, il suo patetico estremismo e il suo patetico aventinismo.
E’ un testo formidabile, la prima lettura che dovrebbe fare chiunque voglia comprendere davvero quel periodo, tra l’altro scritto benissimo, con un ritmo narrativo incalzante nel raccontare gli anni più importanti del Novecento italiano, il periodo tra il 1918 e il 1922, quelli nei quali accade tutto. Il comunista Tasca dà lezioni di storiografia e di intelligenza a tutta la sinistra (pure a quella di oggi) che non aveva capito una mazza, accecata dai suoi paraocchi ideologici. Il fascismo non era un fenomeno unitario. Non era semplicemente un “organo di combattimento della borghesia”, era anche e soprattutto - questo il punto dirimente – “un movimento sociale” diffuso e proteiforme che coinvolgeva i ceti medi emergenti. Il partito socialista si era ben guardato dal risolvere i problemi reali della società post bellica (come oggi), tutto assorto nel suo rivoluzionarismo da strapazzo che aveva ingenerato nella società borghese “l’orrore del vuoto”, che da sempre apre la strada alle forze eversive. I socialisti avevano promesso la rivoluzione senza fare nulla per prepararla e così non avevano fatto altro che esasperare le masse proletarie e preparare il terreno della reazione borghese. Mussolini aveva perfettamente capito come sarebbe finita: “Il nullismo fuori e la cagnara dentro”.
Tenendosi alla larga dall’apologetica del regime dei cretini di destra e dalla narrazione denigratoria dei cretini di sinistra (ieri e oggi), Tasca ha intuito che per capire il fascismo non bisogna far riferimento ai tradizionali concetti di destra e di sinistra, ma solo all’elemento della demagogia (come oggi). E ha analizzato a fondo un altro elemento fondamentale: la psicologia di Mussolini. Il duce non aveva alcuna strategia ideologica, cercava solo di adeguarsi agli avvenimenti per dirigerli. Voleva il potere e basta, in qualsiasi modo, legando demagogia e pragmatismo. Per lui andava bene tutto, socialismo, fascismo, proletariato, industriali, sindacati, agrari: “Il fine supremo resta, per Mussolini, Mussolini stesso; non ne ha mai conosciuti altri”. Tesi sostenuta in seguito anche da Renzo De Felice, Indro Montanelli e Giordano Bruno Guerri. Il fascismo “è” Mussolini. Finito lui, finito il fascismo.
Un consiglio non richiesto, quindi: più che i tromboni e i loro tafanari, leggete Angelo Tasca. Sempre che qualcuno lo venda ancora.
@DiegoMinonzio
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