Non si contano più gli effetti collaterali non patologici del Covid. Ci sono, com’è ovvio, quelli devastanti sull’economia. Poi le ricadute psicologiche che rischiano, l’allarme è stato lanciato anche dal Comitato tecnico scientifico, di destabilizzare la più sfortunata generazione di adolescenti di questo secolo: reclusa in casa in quell’età che i loro padri hanno vissuto per lo più lontano dalle mura domestiche con quella spensieratezza che i nostri ragazzi non possono avere. Ma ci sono anche le città che si trasformano a causa del lockdown e che cambiano i loro tempi e la loro vita. A Como sembra non sia mutato nulla.
Nessun intervento tangibile è stato eseguito sul tessuto urbano, non sono cambiati i percorsi abituali che tali resteranno a lungo dopo che la Regione ha annunciato che, a causa dei ritardi del Comune, salteranno i fondi per le piste ciclabili. Nonostante la pezza dell’assessore Pierangelo Gervasoni, che sembra essere stato arruolato nella giunta anche per questo, la faccenda è seria. Perché gli spazi per le biciclette sono un elemento fondamentale per la trasformazione delle realtà urbane in questi tempi, dove il virus ribadisce la necessità di riorganizzare tempi e modi del trasporto pubblico e privato, cosa detta e fatta solo in minima parte durante la prima ondata a Milano, proprio con la creazione di piste ciclabili. Certo, da noi, con ogni probabilità i nuovi spazi sarebbero arrivati a Covid, si spera, morto. Ma ci avrebbero aiutato per il futuro. E pensare che, complice le norme sulla zona rossa e il bonus erogato per l’acquisto di velocipedi, sono molti, almeno in apparenza, i comaschi che hanno acquistato nuove bici o rispolverato quelle vecchie per muoversi in città senza rischiare sanzioni.
Due ruote in circolazione che contribuiscono a tenere un po’ acceso un centro cittadino che il pomeriggio si smorza e trascolora nel ricordo degli anni ’80, prima di quel boom turistico che ha trasformato in maniera radicale una Città murata triste e deserta come rischia di tornare ora, con le giornate corte invernali, il Natale austero senza Città dei Balocchi e i negozi chiusi. Sì, perché a causa dello svuotamento delle vie abbastanza animate la mattina e al crollo delle pause pranzo consumate nei locali (ora si può solo asportare), anche molti tra gli esercizi commerciali che possono restare aperti tirano giù la saracinesca il pomeriggio. E si sa che nel deserto non è difficile incontrare per i pochi passanti, creature pericolose. Ed è quello che sembra accadere a Como. La Città murata e i dintorni rischiano di trasformarsi in una sorta di territorio da “Guerrieri della Notte”, con personaggi che chiedono soldi in maniera sbrigativa e minacciosa, specie se le loro richieste non sono esaudite. Qualche episodio, al netto di quelle baby gang che sono già state assicurate alla giustizia, è già stato segnalato. Del resto, per la criminalità è più complesso ora tentare i furti nelle case che sono molto meno disabitate, anche in orario di lavoro, di prima. Il rischio, in mancanza di interventi, è che il fenomeno rilevato in centro Como si ampli. I pur pochi cittadini che devono spostarsi anche a piedi per necessità consentite anche nelle zone rosse, hanno il diritto di essere tutelati. Giusto sorvegliare le strade, controllare le auto in circolazione per sanzionare gli abusi, così come i locali che non rispettano le regole. Ma qualche presidio in più nelle strade del centro, specie nelle ore che anticipano il crepuscolo, non guasterebbe. Almeno nell’attesa che la nuttata sia passata e che il cuore di Como torni a essere quella affollata Babele punteggiata di idiomi stranieri che ci possano ridare quel senso di normalità tanto stiamo anelato. Non lasciamo il centro città allo sbando, perché domani ne avremo ancora bisogno.
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