Il domandone è: crea più problemi al centrodestra il no di Gabriele Albertini a Milano o il nì di Mario Landriscina a Como? Perché la ricandidatura del sindaco di Como è molto divisiva in una coalizione nel cui cielo già da tempo si scorgono stormi di stracci tra aspirazioni insoddisfatte, questioni personali, debolezze politiche da parte di coloro che dovrebbero essere i più forti. Di tutto questo, la ciliegina sulla torta, peraltro non di alta pasticceria, è la non convocazione dei Consigli comunali per mancanza di argomenti. Come se non ci fosse di che discutere e di che fare in una città che, nel vedere la luce in fondo al tunnel del Covid, sta scorgendo anche i problemi di prima del tutto irrisolti. Di materia ce ne sarebbe, a parte quella grigia, a quanto pare. Forse i partiti che governano il Comune pensano che il loro consenso sia tale da consentire questa litigiosa inerzia senza pagarne il fio. E magari hanno ragione. Oppure hanno fatto i conti senza un oste pronto a presentarli: quell’Alessandro Rapinese che ci riproverà ancora, se non altro per vedere come va a finire. E chissà.
Ma se da destra, pur stonati e disarticolati, arrivano alcuni squilli di tromba, da sinistra nessuno risponde, se non per voce dei più assidui e zelanti rappresentanti in Consiglio, su tutti quella Patrizia Lissi che forse si potrebbe anche tenere in considerazione per qualcosa di più. Pare che tra i vertici delle forze politiche che dovrebbero cominciare a ragionare sul serio del voto amministrativo 2022 sia calato il silenzio. Un’incomunicabilità che quasi Antonioni, se fosse ancora tra noi, ci farebbe un film. Vero che stare zitti quando non si ha niente da dire è anche essere una buona cosa. Ma non aiuta a conquistare una città che potrebbe pure essere diventata contendibile. Basta solo mettere il naso fuori dai nostri confini. Due roccaforti leghiste come Varese (almeno fino al voto di questo autunno) e Bergamo hanno sindaci di centrosinistra. Così pure Brescia e Lecco. Per tacere di Milano, dove per Beppe Sala gli eventuali Maurizio Lupi e (meno) Alessandro Sallusti potrebbero essere rivali meno tosti del predecessore noto non solo per la sfilata in mutande. Le vittorie del centrosinistra in queste lande della destrorsa Lombardia si devono a vari fattori. Dall’inefficienza delle precedenti amministrazioni di colore diverso alla scelta di persone e formule politiche in grado di estendere il consenso al di fuori del recinto della coalizione senza accorciare troppo la coperta.
Altro domandone: nel centrosinistra comasco e nelle forze sociali che lo compongono, qualcuno sta provando a riportare questi modelli sulla città? Anche qui si potrebbe rispondere nì. Qualcosa c’è stato, forse ancora persiste per quanto attiene alle formule. Per scovare l’inefficienza dei futuri uscenti non occorre certo il lanternino, riguardo alle persone si può dire che è l’anno zero. E visto che di anno ne manca circa uno, sarebbe il caso di togliere la paglia da dove non dovrebbe stare se si vuole proporre agli elettori comaschi un’alternativa credibile nei tempi giusti per poterla conoscere e valutare. Lo scenario, sia nazionale sia locale, è in evoluzione. Non è detto che non si possa venire fuori dal quadro delle alleanze tradizionali, ovviamente rinunciando anche a un po’ della propria identità, specie se sterile. In questo modo, forse, si potrebbe convincere personaggi adeguati a mettere fuori la testa e accettare la sfida molto difficile di costruire la nuova Como del post Covid sfidando le questioni irrisolte, che non sono poche.
L’alternativa è restare in tribuna a guardare la partita tra Landriscina o chi per esso e Rapinese. Se però sono contenti così…
© RIPRODUZIONE RISERVATA