Nonostante la montagna di quattrini che sposta, il calcio resta sempre la continuazione del bar sport con altri mezzi.
Come spiegare diversamente la scelta del Como 1907 di cacciare un allenatore reduce da un vittoria pesante in campionato con uno che, invece, l’ultima partita, l’ha persa, in casa.
Il primo personaggio di questa storia che sembrerebbe uscita dalla penna di Eugène Ionesco, il papà del teatro dell’assurdo è Moreno Longo, piemontese, fino a ieri nel tardo pomeriggio tecnico della prima squadra del Calcio Como. L’altro, e, visto come è andata e preso atto delle parti in commedia, non può che essere l’antagonista, tuot court. Si tratta di Cesc Fabregas, spagnolo ex fuoriclasse di centrocampo e plurivittorioso in campo mondiale, approdato in riva al Lario nella scorsa stagione per concludere la carriera sul campo e cominciarne una in panchina, partendo dalla primavera azzurra. Ora però si andrà a sedere su quella della compagine principale.
Dalla bagna cauda, insomma, si è passati alla paella. Ora l’importante è non finire da quest’ultima nella brace. Longo, va detto, non aveva mai scaldato più di tanto i cuori del tifo azzurro. Pur fornito di un palmares ottimale per la categoria, con una promozione in A conquistata non certo sulla tolda di una corazzata, dava l’idea di non saper tirar fuori tutto il potenziale della sontuosa rosa allestita quest’anno dalla ricca proprietà indonesiana.
Però ora sembrava aver trovato la quadra. Dopo un avvio di campionato altalenante era reduce dal successo esterno con l’Ascoli e da un serie positiva che aveva visto gli azzurri superare con merito una formazione in palla come il Catanzaro. Ora si apprende, con la consueta ufficiosità di questi casi, che mister Moreno avrebbe rischiato di non esserci neppure lì: doveva essere esonerato dopo il ko con la capolista Parma. E questo potrebbe spiegare perché la decisione sia stata rimandata di quindici giorni, a ridosso di una sosta, situazione che, per gli allenatori con la panchina non stabilissima, è sempre foriera di tormenti.
La decisione del Como, chiunque l’abbia presa perché di certo non ha viaggiato sui binari della gerarchia ufficiale, non può che suscitare perplessità.
Anche per il modo in cui è stata (non)comunicata, ma appresa da una voce fuggita da qualche “sen” in terra iberica non è apparso certo dei migliori. Va detto che qualcuno aveva captato qualcosa. Chi ha l’abitudine di leggere a fondo le cronache del Como riportate da questo giornale, avrà notato qualche giorno fa, un retroscena di Nicola Nenci, che segnalava importanti rivolgimenti in atto nella società che avrebbero potuto in qualche modo riverberarsi anche sulle questioni tecniche.
Appare difficile tenere i dubbi chiusi in un cassetto, pur di fronte a una proprietà tra le più serie e le più solide di quelle che si sono succedute negli ultimi anni. La decisione è del tutto legittima. ma se c’era questo intento, ed evidentemente è così da tempo perché il candelotto è scoppiato adesso, ma è chiaro che la miccia bruciava già da un po’, tanto valeva muoversi prima. O magari dopo, per dare il tempo a Fabregas di prendere le misure della panchina.
Il momento scelto è certo il peggiore, e il precedente più fresco e forse unico di questo tipo, quello di Andrea Pirlo (stesso ruolo della spagnolo del Como) alla guida della Juventus non è si è rivelato un esperimento felice.
Per fortuna, il calcio ha una sua certezza quella del campo. Sarà lui a dirci se chi ha preso questa decisione, che appare una follia, magari lucida, ma sempre tale, ci ha visto bene o l’ha fatta grossa. Nel secondo caso ci auguriamo che si assuma le proprie responsabilità. Da tifosi ovviamente non possiamo che sperare che abbia ragione.
P.S: ogni riferimento al discorso, un po’ scontato di una scelta mediatica di immagine, è stato volutamente evitato.
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