Como: trent’anni fa
la politica cambiò

A ricordarlo è la valente collega Maria Castelli. Proprio in questi giorni, trent’anni fa, accadeva un fatto che terremotava la politica comasca fin lì rimasta una sorta di acqua cheta con qualche sommovimento da Prima Repubblica doc come la clamorosa epurazione, nel 1985, del sindaco, votatissimo, Antonio Spallino, democristiano, a beneficio del socialista Sergio Simone, sulla base delle logiche del pentapartito.

Ma in quel fatale 1990, quando il Muro di Berlino era già caduto da qualche mese e Mino Martinazzoli, non ancora segretario dello scudocrociato declinante, era venuto in un incontro a Como per avvertire che la Balena Bianca sarebbe potuta anche andare all’opposizione, fatto mai accaduto in città e al governo nazionale, per la prima volta la Lega Nord mise piede nelle istituzioni comasche e non solo , in particolare nel Consiglio comunale del capoluogo. I piedi dei “barbari” che poi non erano così tali, calpestarono per la prima volta la passatoia rossa e gli eleganti tappeti di palazzo Cernezzi. Quello che fino a pochi mesi fa, dopo la svolta congressuale di Salvini, era il più vecchio partito italiano, allora ancora giovanissimo, ottenne nelle elezioni comunali il 18,2% (partiva da percentuali risibili) e risultò la seconda forza politica dietro la Dc in vistoso calo e davanti al Psi. Lo sbarco a palazzo era stato preceduto da una lettera, pubblicata da “La Provincia”, in cui si attaccava duramente una presa di posizione anti secessionista di Renzo Pigni - lo ritroveremo alla fine di questa storia -, stimato ex parlamentare socialista confluito nella Sinistra indipendente che rappresentava in Consiglio comunale. Furono otto i pionieri della Lega a palazzo Cernezzi: tra loro i due futuri parlamentari Gabriele “Cece” Ostinelli e Luca Leoni Orsenigo, primo consigliere comunale “lumbard” in provincia di Como in quel di Mozzate, ma soprattutto il deputato che sventolò il cappio alla Camera in piena Tangentopoli.

I “barbari” apparivano austeri, compatti e ben determinati a non lasciarsi scappare una parola per il taccuino del cronista che dovette limitarsi a registrare quanto detto nella sede istituzionale durante il dibattito sull’insediamento dell’assemblea. Il leader del gruppo, presto destinato a scendere dal Carroccio che, in quei primi anni di vita conobbe molte fughe ed epurazioni, era un commerciante con negozio in centro. Si chiamava Angelo Marelli e dopo una lunga gavetta da militante si trovò, di lì a poco, a sbattere la porta per insanabili distinti interni. La Lega si collocò subito all’opposizione perché il diktat di Umberto Bossi era quello di non stringere alleanze con chicchessia per mantenere la purezza del movimento. E a Como, il partito, che ebbe fin dall’inizio un rapporto tormentato con la città, restò in minoranza nel Consiglio fino al 2002, con la prima giunta guidata da Stefano Bruni. Marelli, in particolare anche nella sua veste di commerciante, era un fiero avversario del democristiano Felice Bernasconi, presidente di Confcommercio Como (che allora si chiamava in un altro modo) e indicato dal partito come sindaco. Sarà eletto dal Consiglio solo a luglio, dopo una lunga trattativa che già era la spia del declino dei partiti tradizionali, alla guida di una coalizione che, a sorpresa, imbarcò i Verdi al posto dei liberali, rompendo lo schema del pentapartito. Non ebbe vita facile la giunta Bernasconi che entrò in crisi, subì un rimpasto e vide poi nel 1992, quando Tangentopoli era più che alla porte, l’estromissione del sindaco, sostituito proprio da quel Renzo Pigni contestato dalla Lega degli albori. Tanti esponenti di quella prima pattuglia bossiana a palazzo Cernezzi lasciarono il movimento. Tra loro anche le due punte di lancia: Ostinelli e Leoni Orsenigo, estromessi dalla gestione commissariale di Stefano “Epurator” Galli che fece un’operazione di pulizia radicale nel movimento comasco ma finì male a causa di una vicenda giudiziaria. Era una Lega già allora in profonda trasformazione com’è stata poi fino ai nostri giorni con la radicale mutazione genetica imposta dall’attuale segretario. Ma quel giorno in cui i non ancora “padani” entrarono in Consiglio comunale a Como (molti si sarebbero dimostrati attenti e preparati nonostante i pregiudizi con cui furono accolti) segnò una fine e un nuovo inizio della politica in città.

© RIPRODUZIONE RISERVATA