Coronavirus e social
Gli effetti sui politici

Chi si ricorda di “Video killed the radio star”, una hit degli anni ’80 che raccontava di come le stelle dell’etere fossero state distrutte dalla tv una volta apparse con il loro volto? Se cambiate le parole “video” con “social” e “radio” con “political”, capite quanto possa essere attualizzata la canzone. Uno rappresentava la Lega moderata, borghese liberale con la “e”, d’antan, l’altro il Carroccio del fare, la concretezza senza tante balle e parole a vuoto. Ebbene è bastata una mascherina oltretutto messa di sghimbescio e quella frase sui cinesi che mangerebbero i topi vivi (sconoscesi come riescano ad acchiapparli) per trasformare Attilio Fontana e Luca Zaia in due patetiche macchiette da avanspettacolo di serie C, con annessi lanci di gatti morti. Una reputazione adamantina costruita in anni di buona amministrazione, disintegrata in un amen.

Colpa anche dei social che fanno emergere da chiunque di noi l’innata e irresistibile propensione a farla fuori dal vaso. Se il Coronavirus, in fondo, perdona molto di più, dal punto di vista sanitario, la gran parte di coloro che hanno la sventura di esserne colpiti, rispetto ad altre malattie più letali, non è così per i protagonisti della politica, bipartisan e senza alcuna distinzione di destra, centro e sinistra, che dall’esperienza della comparsa del virus nel nostro paese sono usciti a brandelli. Già detto dei due presidenti delle Regioni più importanti e produttive del Nord che, grazie anche alle loro sortite da spacconi al bar della Pesa, rischiano di ripiombare in abissi medievali, ce n’è anche per il premier, il finora abilissimo e scaltro “Giuseppi” Conte che, barricato nella sede della Protezione civile e maratonesco in tv con il maglioncino addosso è sembrato rassicurante come l’apparizione dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse a un raduno degli scout. Normalità sarebbe restarsene a palazzo Chigi con la grisaglia d’ordinanza, signor presidente del Consiglio. Glielo dica, Rocco Casalino. Sarà mica stato un caso che Aldo Moro persino in spiaggia non abbandonava giacca e cravatta. Anche grazie all’abbigliamento stile Facis dei cartelloni pubblicitari degli anni ’70, adottato dai politici, il nostro paese ha saputo fronteggiare e superare le tante emergenze che si sono presentate.

Già non c’erano i social, anche la tv manteneva quella sobrietà imposta dalla vestale fanfaniana Ettore Bernabei e la gente stava tranquilla, senza neppure pensare di barricarsi in casa dietro file di cassette d’acqua minerale, pacchi di zucchero e penne rigate, lasciando agli chef l’incombenza di sbizzarrirsi con quelle lisce rimaste sugli scaffali dei supermercati.

Alla fine questo virus coronato qualche lezione ce la sta dando. Anche agli untori di quella cultura sovranista che induce molti politici, non solo italiani, a chiudere qualsiasi cosa che non sia la loro bocca. Adesso tocca a noi fare l’esperienza che abbiamo destinato ai tanti lasciati fuori dai porti nostrani che non sono più una priorità. Anzi, adesso la paura non è del lontano, del diverso ma del vicino e dell’uguale se ne faccia una ragione chi ci ha speculato per anni .

L’unica politica da praticare è quella della normalità per i sani e delle cure per gli ammalati che sono parecchi ma non abbastanza da giustificare il panico. La vita, per fortuna e per ora, continua. Ed è un peccato buttarne un pezzo per dar retta ai politicanti in cerca di voti e gloria anche in questo contesto. Non ascoltateli più di tanto, alla fine gran parte di loro (per fortuna non tutti) sono sempre gli stessi che spargono balle spaziali in campagna elettorale, salvo poi rifugiarsi nell’oblio una volta ottenuta la poltrona. Per fortuna si può farne anche a meno. Viviamo, lavoriamo come sempre, magari con un po’ di igiene in più che è buona cosa anche in assenza di epidemie. Del resto, diceva qualcuno, non ha senso prendere troppo sul serio la vita. Tanto non se ne esce mai vivi.

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