Mala tempora currunt, corrono brutti tempi per la democrazia. Non gode di buona salute e nemmeno di buona fama. Non solo è in grande affanno, ma è pure scaduta nella considerazione dei cittadini che pur ne godono i benefici. Non parliamo poi dei suoi detrattori che spopolano fuori Europa, e non solo fuori: su tutti, Putin e Xi Jinping. Per costoro la democrazia liberale è più che malata. È agonizzante.
Agonizzante si spera di no, ma malata, e non di un virus stagionale, certo lo è. Un dato eloquente quant’altri mai: il principio su cui si fonda ogni regime democratico, la sovranità popolare, è eroso dai comportamenti dello stesso soggetto popolare. Un po’ in tutto l’Occidente - e purtroppo anche da noi, abituati com’eravamo, ad afflussi elettorali vicini al 90% - più della metà degli aventi diritto diserta le urne. Per la maggioranza dei cittadini sembra proprio che il voto non serva (più) a nulla. Una delegittimazione radicale della democrazia.
Sono rari i riscontri che l’attualità offre per tornare ad aver fiducia nel regime democratico. Un motivo in più, quindi, per non lasciarne sfuggire neppure uno, quando si presenta: ci riferiamo al teatro di guerra di questi giorni.
L’addebito più frequente e più insistito, che si rivolge ai regimi democratici, è di non riuscire a dare risposte tempestive ed efficaci ad almeno tre problemi cruciali della vita di ogni cittadino: sicurezza, benessere; in terza battuta la libertà. Paradossalmente, questa si apprezza solo quando la si perde.
Si tratta di tre istanze, cui è sempre difficile offrire una risposta soddisfacente. Ancor meno di questi tempi in cui l’economia è in preda a gravi convulsioni, la convivenza internazionale è minata da continue guerre e gli Stati nazionali accusano tutta la loro impotenza a fronteggiare il predominio dei grandi trust economici e finanziari, lasciati liberi di muoversi nel globo al di fuori di ogni regola e controllo. In questi tragici frangenti, suscita ammirazione la figura del despota che prende decisioni rapide, reagisce con energia e fa sentire il cittadino finalmente ascoltato e rappresentato.
Sicurezza, nella fattispecie di un ordine repressivo, il potere autocratico ne offre a iosa. Non fa niente se di benessere ne eroga poco o nulla. In compenso si serve di molta retorica nazionalista, scaricando sul nemico esterno il malcontento per le rinunce e i sacrifici fatti pagare all’interno.
Solo quando un regime dispotico cade e si spalancano le segrete stanze del potere, si vedono nella loro interezza i costi tremendi dell’ordine da caserma che garantivano.
Il mattatoio e le fosse comuni di Assad, la morte servita da Putin agli oppositori con detenzioni disumane o, quando necessario, con pozioni di polonio sono lì a dimostrarlo. Censura, disinformazione, manipolazione celano agli occhi di noi occidentali la tremenda realtà di questi regimi illiberali, facendo apparire attraente una realtà di repressione e di terrore.
Le democrazie – è vero - sono piene di difetti. Sono lente a decidere. Sono rinunciatarie. Promettono e non fanno. Faticano a compiere, o addirittura non compiono scelte impopolari, ma necessarie. Potremmo continuare a lungo nell’elencare i loro difetti. Hanno, però, un pregio che le autocrazie non hanno. Permettono di cambiare i governanti senza dover scatenare una guerra civile. Non è poco. Meglio cercare di rimediare alle loro manchevolezze che non gettare il bimbo con l’acqua sporca.
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