Il problema della destra in Italia è che non riesce mai a uscire dalla sua dimensione macchiettistica.
Passano gli anni, cambiano gli interpreti, si susseguono le rivoluzioni economiche, digitali e sanitarie e la destra rimane sempre lì, come la rocca di Gibilterra, avvinghiata ai suoi personaggi da rivista, ai suoi gerarchetti da commedia, ai suoi reduci da avanspettacolo, insomma, a tutto quel variegato mondo circense che, di quando in quando, ci regala spassosi siparietti che sembrano tratti da un film di Monicelli. Non che dall’altra parte siano messi tanto meglio, per carità, che a forza di retori dell’eterna resistenza resistenziale, di sacerdoti del sacro verbo antifascista ovunque, dovunque e comunque e di tutto il resto delle prediche che ci vengono propinate da settant’anni dall’orchestra dei tromboni del pensiero unico conformista, ti viene una gran voglia di farti una quinta dose di AstraZeneca scaduto. Ma, diciamoci la verità, mentre il mondo galoppa a tutta birra verso un futuro interconnesso e inquietante, questo è il livello del dibattito politico nella repubblica delle banane. Bisognerà, prima o poi, farsene una ragione.
L’ultimo atto del vaudeville che tanto appassiona i meglio palloni gonfiati dell’istituto Luce nostrano e che però, c’è da scommetterci, fa addormentare pletore di italiani sul divano di casa, è quello relativo all’inchiesta del sito giornalistico Fanpage, che ha infiltrato per tre anni un (bravissimo) cronista tra gli ambienti del sottobosco destroide milanese, creando un tale imbarazzo al presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, da spingerla a dichiarare al Corriere della sera che nel suo partito non c’è posto per i nostalgici del fascismo. Affermazione non nuova, a dir la verità, visto che è la stessa che Gianfranco Fini ha pronunciato in Israele vent’anni fa e che, potete giurarci, verrà pronunciata fra vent’anni dal prossimo leader e che verrà pronunciata dal suo successore altri vent’anni dopo e che verrà pronunciata dal successore del suo successore passati ennesimi vent’anni e bla bla bla. E dall’altra parte sarà esattamente lo stesso, perché anche nel 3021 verrà fuori un bel tipo ad avvisarci che il fascismo è alle porte e che lo guida il Barone Nero Roberto Jonghi Lavarini. Risate.
Ora, è evidente che il problema non è questo. Il fascismo è morto nel 1945 – come scritto negli imprescindibili studi di Renzo De Felice – e quelli lì ripresi dalle telecamere nascoste di Fanpage e che bivaccano nei rigagnoli di Fratelli d’Italia e della Lega sono quattro gatti, sono dei buffoni, dei pagliacci, dei poveracci. Mentre invece sono ancora ben vivi il razzismo e l’antisemitismo, due pestilenze che non riguardano di certo solo la destra e che segnano da sempre la storia dell’Europa e delle società. E’ su questo che ci si dovrebbe concentrare e invece è proprio qui che si vede quanto sia modesto, al limite dell’avvilente, il livello medio dei dirigenti di quei partiti che dovrebbero rappresentare ben oltre la metà degli italiani e che, invece, sono talmente scarsi da non aver capito nulla di quello che veramente serva per diventare credibili. E che hanno capito ancor meno quanto fosse profondo l’insegnamento di Gramsci, secondo il quale qualsiasi presa del potere vera e duratura passa sempre e obbligatoriamente dall’egemonia culturale e che i cosiddetti poteri forti e i cosiddetti salotti radical chic e le cosiddette terrazze di quelli che piacciono alla gente che piace, insomma, il cosiddetto “regime” degli amici degli amici - che in effetti esiste - non si sconfigge con lo sbracamento populista.
E tanto meno con l’appiattimento sui peggiori luoghi comuni del popolo, del popolo bue, della gente, della massa, dell’uomo della strada con il ridicolo contorno di selfie con i maritozzi, le mozzarelle in carrozza, le vongole veraci e tutto il resto delle cialtronate che questi sedicenti leader vomitano a ogni ora del giorno e della notte sui social pensando di essere furbi, quanto invece con un lavoro durissimo di studio, ricerca e preparazione. Magari leggendo “La democrazia in America” di Tocqueville (ci sono anche delle edizioni per ragazzi con poco testo e tante figure…) e capendo cosa significhino per davvero i termini “libertà” e “individuo”. Altrimenti arriverà sempre un Draghi - a proposito di gente che ha studiato, a proposito di poteri forti - a dargli due schiaffi e a mandarli dietro la lavagna dei somari. Anche se prendono milioni di voti, anche se vincono le elezioni.
Ma la cosa cento volte più grave è che mentre tutti quanti noi del rutilante mondo dell’informazione - confermando per l’ennesima volta il nostro distacco siderale dalle realtà che, chissà come mai, continua imperterrita a illudersi di interessarci mentre a noi interessano solo i nostri giochetti - avvampa e ulula e si esagita sul male assoluto del fascismo da una parte e sui sacri valori dell’antifascismo dall’altra, nessuno sembra fare un plissé sull’unica cosa seria che emerge dall’inchiesta. E cioè il finanziamento illegale dei partiti. Che alla faccia di Tangentopoli e compagnia, ma guarda un po’, prosegue bellamente, tra bustarelle, zainetti e valigette, dando così ragione per l’ennesima volta all’ormai storico e quanto mai profetico discorso che Craxi tenne alla Camera nel famigerato 1992, quando denunciò che tutto il sistema si reggeva in quel modo e che tutti lo sapevano: “Non credo che ci sia nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perché presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Che bandito. Che leader. La politica vive sul nero, galleggia sul nero, sguazza, sprizza e si avvoltola nel nero. Questa è la notizia, l’ennesima conferma della solita notizia, che, ci mancherebbe altro, riguarda destra, sinistra e centro. Questo è l’unico “nero” da prendere sul serio, per i fascisti e le loro pagliacciate basta rivedersi “Amarcord” di Fellini.
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