l’Italia schiera nel mondo oltre 45 mila tra cooperanti e volontari, che ogni anno gestiscono quasi un miliardo di euro di fondi per 5 mila progetti, nei Paesi poveri dove talvolta incrociano conflitti. Nel registro del ministero degli Esteri sono presenti 225 organizzazioni non governative (ong), più strutturate e rispondenti ad obblighi precisi rispetto alle 500 associazioni laiche operative.
Alla Farnesina sono consapevoli che imporre regole rigide a queste sarebbe impossibile: per problemi organizzativi ed economici, tante realtà non potrebbero far fronte agli impegni burocratici previsti e scomparirebbe così un pezzo importante del volontariato italiano. A queste realtà appartiene «Africa Milele», l’associazione con cui era impegnata Silvia Romano in un progetto di sostegno ai bambini orfani in Kenya. Lì è stata rapita il 20 novembre 2018 da una banda di criminali e poi venduta agli Shabaab, organizzazione jihadista affiliata ad Al Qaeda che punta a creare un Califfato in Somalia. Dopo 18 mesi la liberazione, molto probabilmente dietro il pagamento di un riscatto (da 1,5 milioni a 4, ma nessuno dirà mai la cifra esatta).
In Italia la volontaria milanese è stata accolta con indignazione e parole d’odio sui social, per essersi convertita all’islam come si evinceva già dall’abito che portava al momento dello sbarco a Ciampino. Accusata di essere una sprovveduta, in realtà Romano, laureata in mediazione linguistica, non era alla sua prima esperienza in Africa. La procura di Roma indaga sul rapimento, mentre la Polizia postale ha individuato una quarantina di persone, autori dei commenti su Facebook conditi di minacce di morte e inviti a impiccarsi.
Almeno si è tornato a parlare di esteri, male ma lo si è fatto. E non più solo in chiave coronavirus, l’emergenza che insieme ad alcuni fatti di cronaca e di politica ha coperto con un manto vicende importanti in corso nel mondo. Come in Somalia, dal 1986 piagata da conflitti e carestie, teatro della fallimentare missione occidentale «Restore Hope» negli anni ’90. Era sotto la nostra sfera d’influenza ma per la liberazione della Romano è servita la mediazione della Turchia, che già ci ha sottratto il ruolo di punto di riferimento in Libia, armando e sostenendo con militari la riscossa momentanea del legittimo presidente Fayez Al Serraj nel conflitto con il generale Khalifa Haftar, sostenuto invece dalla Russia. Il territorio libico, ricco di petrolio, verosimilmente verrà spartito tra Ankara e Mosca.
Ma è soprattutto ciò che sta succedendo in Afghanistan che dovrebbe indignarci. In quella terra l’Italia ha perso 53 suoi soldati, spendendo in 17 anni di presenza quasi 8 miliardi di euro (anche questi «soldi nostri») e 280 milioni per iniziative di cooperazione internazionale. Ma l’Amministrazione Trump, che ha fretta di levare le tende dal Paese prendendo atto che dominarlo, come insegna la storia, è impossibile (anche l’Armata Rossa fallì), il 29 febbraio scorso ha siglato un accordo col movimento dei talebani, combattuti dal 2001 dopo l’attacco alle Torri gemelle.
Per cominciare la trattativa gli americani chiesero al Pakistan nell’ottobre 2018 di rilasciare il mullah Baradar, che la Cia aveva catturato nel 2010 e consegnato ai pakistani. È uno dei fondatori del movimento, vice del leader mullah Omar e la sua cattura è stata la più importante del conflitto. I guerriglieri volevano riaverlo, serviva a far partire i negoziati e quindi gli americani acconsentirono, facendo pressione sul Pakistan. I talebani, che diedero copertura a Osama Bin Laden, sono come gli Shabaab somali: lapidano le donne, ammazzano per motivi religiosi, celebrano gli attentati suicidi, obbligano le donne al burqa (persino più coprente dello jilbab somalo) e intrattengono rapporti con Al Qaeda. Ora il governo di Kabul dovrà avviare il dialogo con loro, che mirano alla creazione del Califfato.
L’accordo con Trump stabilisce il ritiro graduale delle truppe Usa assieme agli alleati Nato, quindi anche al contingente italiano. Intanto gli afghani continuano a versare sangue innocente, pure per la presenza di cellule dello Stato islamico, che in settimana hanno messo a segno un attentato nel reparto maternità dell’ospedale dell’ong Medici senza frontiere a Kabul, provocando la morte di 24 tra neonati, madri e infermiere. Non è proprio l’esito che ci attendevamo mettendo piede nel Paese asiatico 17 anni fa.
Un’altra notizia passata in sordina riguarda l’immigrazione ed arriva da un’inchiesta dei quotidiani «Avvenire» e del britannico «The Guardian». Malta, aderente alla Ue e già sotto la lente di Bruxelles per essere un paradiso fiscale, respinge i barconi e li dirotta verso Libia e Italia, anche quelli in avaria dotandoli di carburante e motori nuovi. Era un sospetto da tempo, ora ci sono le prove: immagini, video e testimonianze. Scarse le reazioni pubbliche, nonostante la palese violazione del diritto internazionale.
Ma c’è anche una notizia positiva tra quelle oscurate. Una settimana fa nei pressi di Parigi è stato arrestato il miliardario Félicien Kabuga, finanziatore del genocidio in Ruanda nel 1994. Era latitante da 23 anni: fornì alle milizie hutu i soldi per comprare le armi necessarie a massacrare 800 mila tutsi e hutu moderati. La giustizia può avere la meglio sul cinismo e la violenza che sembrano dilagare nel mondo
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