Immaginatevi l’esito di un sondaggio “espresso”, lanciato subito dopo la frase pronunciata da Mario Draghi in risposta a Enrico Letta sulla tassa di successione dei super ricchi da utilizzare per aiutare i diciottenni: “Non è tempo di prendere soldi ai cittadini, ma di darli”. Con ogni probabilità lo scaltro presidente del Consiglio avrebbe portato a casa almeno l’80% dei consensi.
Perché le tasse sono sempre un argomento sensibile, come dimostra il linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto il forse incauto leader del Pd, animato, con ogni probabilità, dall’intento di accattivarsi le simpatie dei neoelettori. Chissà se il capo del governo ha pronunciato a caso quelle parole o magari abbia voluto tastare il terreno in vista di un suo impegno politico prolungato oltre l’esperienza di governo, scansando l’offerta del Quirinale arrivata da Matteo Salvini. Chiaro che quest’ultimo, al netto della gara per la leadership del centrodestra con Giorgia Meloni, non vede l’ora di sfrattare l’attuale inquilino di Palazzo Chigi per insidiarvi se stesso dopo una tornata elettorale vittoriosa. Ma, sull’ipotesi di succedere a Sergio Mattarella, Draghi non si è voluto pronunciare.L’annuncio dell’attuale capo dello Stato di lasciare il Colle alla scadenza naturale del mandato ha creato una forte fibrillazione nella politica. In molti, specie nel centrosinistra, speravano che Mattarella accettasse una rielezione per un periodo definito, così come fece il suo predecessore Giorgio Napolitano, in modo da consentire al nuovo Parlamento, dimagrito dalla legge che ne riduce i componenti, di scegliere il nuovo presidente della Repubblica.
Il diniego del capo dello Stato potrebbe dar vita a un processo che interessa lo stesso Draghi. Premesso che quest’ultimo ha già agito da politico quando, alla guida della Bce, ha deciso di sostenere l’economia dei Paesi in difficoltà con l’acquisto massiccio dei loro titoli di Stato contro il parere della Bundesbank e dei falchi europei del rigore finanziario, ora potrebbe essersi fatto la bocca per continuare a essere protagonista del nuovo mondo in cui è stato collocato proprio da Mattarella.
La malattia che sembra aver messo fuori gioco Silvio Berlusconi ha aperto un vuoto nella leadership dei moderati, i cui voti sono dispersi qua e là in varie forze politiche di tutti gli schieramenti. Una nuova guida autorevole e riconosciuta come quella del premier sarebbe forse in grado di farli rientrare. Nel libro intervista biografico “Una storia popolare”, scritto prima dell’avvento dell’ex presidente della Bce a Palazzo Chigi, Roberto Formigoni fa proprio questa previsione. Chissà se nella sfera di cristallo dell’Italia che verrà c’è questo scenario.
Certo i precedenti di “tecnici” che hanno tentato l’avventura politica - con l’eccezione di Carlo Azeglio Ciampi, approdato al Quirinale senza però essersi associato a un partito o averlo fondato - non sono incoraggianti. Sia Lamberto Dini, sia, ancora peggio, Mario Monti hanno percorso poca strada. Ma Draghi sembra fatto di un’altra pasta. Lo dimostra l’abilità anche retorica con cui sta reggendo un governo, sostenuto da una maggioranza irrituale e rissosa, che però, in poco tempo, ha realizzato la campagna vaccinale ed elaborato il Recovery plan. Proprio quest’ultimo potrebbe rappresentare la molla per convincere Draghi a proseguire nell’agone politico. La gestione dei fondi erogati dall’Unione europea sarà delicatissima. Soprattutto perché i quattrini saranno concessi a “babbo morto”, cioè con opere e riforme realizzate. Chi, tra gli attuali leader di partito, a prescindere dalla collocazione politica, fornisce garanzie granitiche in questo senso?
Va tenuto conto che qualunque coalizione vincerà le prossime elezioni - quella di centrodestra o l’alleanza Pd-Cinque Stelle, Leu, ecc... - farà fatica a trovare al proprio interno un punto di equilibrio e una figura autorevole in grado di fare la sintesi tra le varie posizioni. Non è escluso che a Bruxelles stiano già ragionando con preoccupazione su questi scenari italiani. Così come non si può negare che magari possa arrivare proprio da lì l’input per Draghi, che potrebbe determinare un notevole scompaginamento degli attuali equilibri politici.
Fantapolitica? Forse. Lo vedremo. Di certo già a cose fatte. Perché, come abbiamo capito, il presidente del Consiglio non è un tipo da annunci. Quando parla è perché ha già compiuto l’opera.
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