Federalismo:perché finisce sempre male

Facile il gioco di parole: l’autonomia differenziata, riforma bandiera della Lega, potrebbe finire tra la spazzatura come la raccolta differenziata. L’opposizione sta raccogliendo, con un certo successo, le firme per un referendum abrogativo destinato al successo nei territori al di sotto del Po e quindi nella maggioranza degli elettori. Agli avversari, nel caso, non resta che sperare nel mancato raggiungimento del quorum. Se sarà indetta la consultazione, infatti, servirà necessario il 50 per cento più un voto perché il risultato sia valido. Insomma ci vorrebbe una partecipazione parecchio superiore a quella registrata nelle ultime elezioni europee.

Se l’autonomia delle Regioni, e non solo per chi la propone, non fosse una faccenda maledettamente seria, ci sarebbe da ridere. In ogni caso con uno sghignazzo amaro nel notare come ogni tentativo di cambiare l’ordinamento del nostro Stato in senso federalista sia destinato o rischi di finire in vacca. Prima dell’irruzione sulla scena politica di Umberto Bossi e della sua Lega, molto dissimile da quella attuale capitanata da Salvini, la materia era destinata a intellettuali e/o politologi come Gianfranco Miglio e Massimo Cacciari. Il merito del Senatur è stato quello di porre il problema sul campo, con la questione settentrionale. L’Italia, dall’epoca dell’istituzione della Repubblica, era uno stato centralista e parecchio assistenzialista (in buona parte lo è tutt’ora). La stessa nascita delle Regioni, prevista dalla Costituzione, era stata attuata solo nel 1970 e soprattutto per merito della prudente stagione riformista del primo centrosinistra della nostra storia.

Da lì in avanti è stato necessario, appunto, attendere il Carroccio che ha gettato un seme che alla fine non ha ancora dato frutti. Il federalismo fiscale approvato dal governo Berlusconi nel 2009 era una cosa all’acqua di rose che, lungi dall’invertire il flusso di risorse dal centro alla periferia dello Stato, aveva solo incrementato i centri di spesa e aumentato la capacità impositiva degli enti locali. L’aumento della tassa di soggiorno in discussione in questi giorni è anche figlio di quel provvedimento che di certo non ha arricchito le popolazioni del Nord Italia, anzi.

Perché, diciamola tutta. La gente, di tutti i ceti del Settentrione ha sempre percepito il federalismo in qualsiasi foggia come qualcosa in grado di trasformare la propria Regione in una sorta di Trentino Alto Adige, con stipendi alti, tassazione bassa e opere pubbliche come se piovesse.

Prima del federalismo fiscale, un altro governo guidato dal Cavaliere con la Lega in maggioranza aveva visto la devolution affondare contro lo scoglio del referendum. Poi era stato il centrosinistra, con il governo guidato da Giuliano Amato, nel 2001, al termine di una tormentata legislatura di centrosinistra con tre premier e svariati rimpasti dell’esecutivo, a votare a colpi di maggioranza (se oggi lo facesse il centrodestra le piazze gronderebbero di sdegno), la modifica del titolo V della Costituzione per trasferire in maniera esclusiva alcune materie di competenza statale. Qualcosa di non molto dissimile dell’attuale legge elaborata dal ministro del Carroccio, Roberto Calderoli, contro sui sono state erette le barricate dai “nipotini” di quella stagione politica in l’allora Pds cercava, invano, di sottrarre voti ai Lumbard.

Adesso Meloni, a capo della forza più centralista di tutte, ha accettato obtorto collo la riforma leghista in cambio del semaforo verde al premierato. Ma, con la frenata sui lep (livelli essenziali di prestazione, cioè risorse), sembra intenzionata a tarpare le ali dell’autonomia. Anche Forza Italia, che pesca tanto al sud, appare tutt’altro che entusiasta. Alla fine, da noi, il destino di ogni federalismo proposto è sempre quello di essere strumentalizzato prima che attuato. Peccato, perché una riforma condivisa, con un buon impianto solidale, e la forza politica per scardinare tutte le resistenze che più della politica appartengono agli apparati dello Stato sarebbe un gran bene per tutti. E proprio per questo non si farà mai.

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