Francia: dna populista e antidoto doppio turno

La Francia è populista, l’Italia moderata o se preferite con una contorsione storico politica, ma più aderente alla nostra realtà “democristiana”. Lo dice la storia. I “cugini” hanno avuto Carlo Magno, Robespierre, Napoleone, De Gaulle. Noi Federico II (che neppure era italiano a prescindere dal fatto che l’Italia non c’era), Machiavelli, Cavour, Giolitti, De Gasperi. Se volete trovare qualche vero populista, bisogna tornare a Giulio Cesare e Nerone perché già Cicerone, se fosse nato più tardi, probabilmente avrebbe avuto in tasca la tessera di Piazza del Gesù.

Da noi poi, chi nasce populista, una volta approdato sulle poltrone governative, si accomoda subito: vedi Bossi, Di Maio, la stessa Meloni e per certi versi anche Berlusconi.

Anche perché fare i populisti in Italia magari rende sul breve, ma non dura. Chi non si adegua all’andazzo (vedi alla voce Lega e Cinque Stelle: governo meteora), finisce per pagarla caro. Il Savonarola che arde sul rogo è un monito sempre attuale.

Non è un caso che Oltralpe abbiamo avuto la rivoluzione e noi il Risorgimento che è stata la rivolta più democristiana dal mondo, fondata su intrighi e trame sottobanco dall’Obbedisco di Garibaldi, alle prodezze sotto le lenzuola della Contessa di Castiglione. I francesi, quando si inc... veramente, come nella canzone di Paolo Conti su Bartali che trionfa al tour, fanno la rivoluzione. Noi appunto, dopo che hanno sparato a Togliatti, lasciamo le piazze roventi per piazzarci davant al la radio e tifare per il campione di ciclismo toscano che conquista la maglia gialla. In Italia, vedi Ennio Flaiano e non solo, c’è sempre un motivo per rinviare la rivoluzione: non foss’altro che la pioggia. Allora perché stupirsi se i vincitori delle elezioni legislative anticipate in Francia sono due campioni di populismo? D’accordosu Le Pen e Bardella, ma c’è anche la sinistra che può stappare qualche bottiglia di champagne. E Mélenchon non è mica Bonaccini e il sano riformismo dell’Emilia. Anzi, il leader della sinistra d’Oltralpe interpreta meglio di ogni altro quel populismo che se nel tempo è diventato patrimonio della destra, è nato proprio dall’altra parte dell’agone politico. Il problema del populismo però è che è facile farlo dall’opposizione, dove si usano i soldi del Monopoli, meno quando tocca governare: le casse sono quelle che sono e si serrano di fronte a ogni promessa di taglio di tassi e mantenimento dell’età pensionabile (vedere i programmi di Bardella e Mélenchon per credere).

Sarà anche per questo e vista la propensione generale, che i francesi, alle elezioni si tengono ben stretto il secondo turno, quello che, non a caso, qui in Italia qualcuno vorrebbe limare se non abolire anche nella scelta dei sindaci dei grandi Comuni. Perché si sa che al primo giro si vota con il cuore che è notoriamente zingaro e quindi batte in parte verso il populismo utopistico. La volta dopo, però, entra in scena la testa e le cose cambiano. Con ogni probabilità succederà così anche in Francia, anche se forse questa volta la questione è più complessa, proprio perché la scelta è tra due populismi. A prescindere dal fatto che, anche se dovesse vincere il partito di Le Pen, giocoforza si “melonizzerà”. E al di là delle enunciazioni di principio, dovrà allinearsi a quello che impone l’Europa. La risposta di ieri dei mercati all’affermazione di Rassemblement National è già una sentenza, almeno di primo grado. Per quella definitiva vedremo domenica.

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