Giorgia ed Elly: tante parole senza fatti

La destra in Italia è così di destra che è uguale alla sinistra. Il duello televisivo tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein fissato per il 23 maggio - una data storica, che il mondo attende con il fiato sospeso - ci sta regalando uno di quei teatrini che rendono inconfondibile il nostro paese. Dunque è scontro. E’ battaglia. E’ ring. E’ faccia a faccia. Fino all’ultima parola, all’ultima frecciata, all’ultima stilettata. Le due campionesse della politica italiana, la destra di qua, la sinistra di là, contrarie e opposte, inconciliabili, irriducibili, indialogabili, se le suoneranno di santa ragione, perché così deve essere, perché così è giusto, doveroso e naturale. Rappresentano due mondi, due universi, due culture, due antropologie, due modi di stare al mondo. Da una parte la patria, la nazione, il popolo, le radici, la tradizione, l’identità, la sicurezza, il privato, dall’altra l’Europa, il mondo, le visioni, la redistribuzione, la solidarietà, la fluidità, l’integrazione, il relativismo, il pubblico. La Pulzella e la Marianna, la popolana sagace e salace e l’intellettuale delle terrazze e dei salotti, la donna madre e la donna lesbica e bla bla bla. Non è questa, forse, la parte in commedia assegnata dai media e autoassegnatesi da loro stesse per inscenare un certame che non ci fa dormire la notte, che ci fa rosicchiare le unghie, che ci illumina d’immenso?

Bene, questa storiella se la bevono solo i gonzi. Perché se uno con un minimo di onestà intellettuale va oltre le apparenze e i declami elettorali, se va a grattare la vernice rossa o nera, scopre che su alcuni temi fondanti della cultura politica e soprattutto economica, il disadorno colore base per entrambe è il grigio. E vediamo perché. Sono passati pochi giorni (3 maggio 1979) dall’anniversario della nomina di Margaret Thatcher a primo ministro britannico, uno statista che, piaccia o non piaccia, ha segnato in maniera incontrovertibile la storia politica non solo del suo paese, ma dell’Europa intera per tutti gli anni Ottanta. E anche dopo, visto che il laburismo di Tony Blair è incomprensibile senza la Lady di ferro.

Visto che la Thatcher è la destra che più destra non si può, la logica ci spingerebbe a dire che la distanza politica tra lei e la Meloni, che pure lei è la destra che più destra non si può, dovrebbe essere minima o addirittura inesistente e invece massima tendente al siderale quella tra la Thatcher di cui sopra e la Schlein. D’accordo? E sapete invece che succede? Che al di là delle chiacchiere e dei distintivi con cui si ipnotizzano i tifosi e gli ingenui c’è molta meno distanza tra la Schlein e la Meloni rispetto a quella tra la Thatcher e la Meloni. Perché tra la Thatcher e la Meloni c’è un abisso. O forse due, questa è la verità. E il paradosso dei paradossi è che ci sia una voragine tra due destre e invece una vicinanza, cuginanza e sorellanza tra la destra e la sinistra.

La soluzione dell’enigma è semplice. La destra europea, in particolare quella anglosassone, che è figlia di una storia ben nota, non ha nulla, ma proprio nulla, a che fare con la destra italiana, che arriva da un percorso completamente difforme, tanto è vero che in Italia i “liberali” in quanto tali hanno sempre rappresentato un’infima minoranza (il Pli di Zanone prendeva il 2%, il Giornale di Montanelli vendeva poche decine di migliaia di copie). E infatti i programmi economici della destra italiana ricalcano quelli della sinistra e pure quelli del centro e dei tecnici: più Stato meno mercato, più sostegno meno competizione, più assistenza meno merito. E via andare di questo passo: pensioni e prepensioni e protezioni e sovvenzioni e corporazioni e cooptazioni e bonus e sussidi e filiere e sanatorie e condoni e amnistie e familismi amorali e famiglie e cerchi magici e amici degli amici e mi manda Picone e tutto il resto che segna con il suo marchio d’infamia la politica, anzi, la cultura degli italiani, a prescindere dai partiti di appartenenza. Tutto il resto, gli ululati, i sermoni, le intemerate e le indignazioni sono solo fuffa, granone da dare ai polli che si bevono le sceneggiate da talk show.

La Thatcher, che ha avuto la statura, la ferocia calvinista di chiudere tutte le miniere e scardinare l’intera struttura dello Stato - con costi sociali devastanti che vanno messi nel conto: basta vedere qualche capolavoro di Ken Loach per capirlo - lo scandalo di Alitalia lo avrebbe sanato in due minuti: non stai sul mercato? Porti i libri in tribunale. Punto. E il tema dei taxisti e dei balneari, il ridicolo, il grottesco, il vergognoso tema dei taxisti e dei balneari, l’avrebbe risolto in un nanosecondo. A Milano servono trecento licenze in più? Il giorno dopo ci sono trecento licenze in più. Punto. Perché il consumatore ha sempre ragione. E le spiagge le avrebbe messe tutte a gara, tutte, in un attimo e vinca il migliore. Chi ha investito nella struttura verrà rimborsato, ma poi tutto a gara (non truccata, come certi nostri impagabili concorsi alla Marchese del Grillo) e la spunti chi offre il servizio più qualificato.

Però qui siamo in Italia. Passano i governi di destra, di centro e di sinistra e nessuno fa niente e comandano sempre le corporazioni, che tengono tutti sotto schiaffo con il loro potere di interdizione sul mercato del lavoro, sulla vita delle aziende e sui diritti dei cittadini, soprattutto. Vi risulta che la Schlein e i suoi predecessori o la Meloni e i suoi predecessori abbiano mai fatto alcunché su questo? Figurarsi, due supercazzole sul fascismo e l’antifascismo, sulle borgate e sui salotti, sull’io sono una donna e sul sono donna pure io e intanto non cambia mai niente. Spendi, spandi e fai debito, tanto paga Pantalone. Un tema di devastante infantilismo italico che contraddistingue tutti i nostri sedicenti statisti al quale la grande Margaret ha dedicato uno dei suoi aforismi più urticanti: “Non esiste il denaro pubblico, esiste solo il denaro dei contribuenti: non fidarti di chi ti dice “qualcun altro pagherà”, perché quel qualcun altro sei tu”.

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