Qui centrodestra, abbiamo un problema: quello della rappresentatività. Il paradosso di queste elezioni amministrative, in fondo abbastanza prevedibile, è la capacità della coalizione trainata da Fdi e Lega di non far fruttare l’indubbio consenso di cui gode nel paese. Si potrebbe dire che è una questione di facce. Quelle che gli elettori hanno ritenuto poco presentabili soprattutto a Milano e Napoli dove i candidati del centrosinistra, nel secondo caso anche con l’appoggio dei Cinque Stelle, hanno fatto il pieno. Ma pure Torino, dove ci sarà il ballottaggio, è una sorpresa: il vantaggio di Lo Russo su Damilano non era stato rilevato da alcun sondaggio.
Il dubbio è che oltre a un problema di personale ve ne sia uno politico. Il sovranismo non tira più. Ce lo hanno già detto le consultazioni elettorali che si sono svolte nei mesi scorsi in Francia e in Germania e lo conferma questa tornata amministrativa in cui erano stati chiamati alle urne 12 milioni di italiani e hanno risposto quasi meno della metà. Altro dato significativo quest’ultimo che certo ha pesato sull’esito. Se circa il 50% degli elettori (e il campione è significativo poiché si è andati alle urne dal Piemonte alla Calabria) non trova una rappresentanza è il caso di avviare una riflessione. In attesa del ballottaggio romano, l’unico condito da una certa dose di pathos, è innegabile una vittoria del centrosinistra, che trionfa a Milano con Sala riconfermato al primo turno, vince a Napoli, tiene, ed è scontato Bologna e, con ogni probabilità, si riprenderà Torino tra quindici giorni. Il Pd si conferma il partito delle Ztl e porta a casa anche l’approdo in parlamento con un risultato significativo, del suo segretario nazionale, Enrico Letta, la cui elezione a Siena era tutt’altro che scontata, almeno fino a quando non sono apparse le prime proiezioni sugli esiti nelle grandi città.
Il centrodestra mantiene la Calabria e lo fa a prescindere dalla parcellizzazione del fronte avversario e Trieste, una realtà che, per la sua storia ha sempre guardato a quella parte politica, e si trova costretto a una lunga traversata nel deserto per tentare, alle prossime politiche, di conquistare la guida del paese. In discussione, oltre magari la leadership di Matteo Salvini nella Lega, che comunque non potrà più fare il bello e cattivo tempo nel movimento, c’è un discorso di linea politica che coinvolge anche Fratelli d’Italia. Quanto possano aver pesato le vicende di Luca Morisi e Carlo Fidanza piombate a ridosso del voto non è dato a sapere. È sicuro però che, tanto più in elezioni comunali, il “pedigree” non di altissimo lignaggio, dei candidati sindaco recuperati dopo un rosario di no, ha influito sull’esito. La coalizione, dopo il tramonto della leadership di Berlusconi, non è più considerata affidabile da una quota della borghesia imprenditoriale e delle professioni che se ne sta alla larga dalla sinistra, ma non si sente rappresentata da questa destra che mantiene stimmate populiste anti europee e contrasta il Green pass considerato indispensabile per la ripartenza delle attività. Voti che magari contano poco, ma pesano parecchio. Il discreto risultato di Carlo Calenda a Roma ci dice che questo blocco sociale non si rispecchia in Fdi e Lega e non crede più a Forza Italia. Il “nuovo” centro che comprende anche Italia Viva di Renzi sembra destinato a diventare l’ago della bilancia nella politica prossima ventura. E tutti dovranno tenerne contro.
Più che lamentarsi del ritardo con cui sono stati presentati candidati e programmi, Salvini dovrebbe riflettere sulla sua campagna elettorale, condotta con un piede dentro il governo Draghi e l’altro fuori, che non ha convinto. E ora nel centrodestra comanda Meloni.
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