Nel dolore condiviso da tutta la città per la morte di don Roberto Malgesini si sono inserite le discussioni sul reo confesso dell’omicidio.
Espulso sulla carta, rimasto “clandestino”. Una parola ormai stabilmente associata a “immigrato”.
Esistono spiegazioni apparenti che fanno pensare a soluzioni facili; e parole che diventano realtà anche quando non descrivono nessuna realtà vera.
A tutela della correttezza delle parole è intervenuta persino l’Accademia della Crusca, che scrive: “clandestino compare con larga frequenza in contesti che riguardano l’immigrazione, ma progressivamente, anche grazie a un’azione congiunta di norme scritte senza troppa attenzione alla corrispondenza tra forma e contenuti e di un’informazione approssimativa e d’effetto, il tratto semantico primario di ’segreto, nascosto’ sembra scivolare sempre più verso quello di ’fuorilegge’, ’criminal’e”.
In un uso non stereotipato, “clandestino” indica qualcosa che è nascosto, segreto.
Tutto il contrario dello sciagurato reo confesso dell’omicidio.
Che era in Italia da molti anni, si vedeva per strada, cercava un rifugio per la notte, che ha avuto visibilmente da don Roberto la Carità, con la maiuscola.
Queste precisazioni non servono affatto ad approvare l’immigrazione al di fuori della legalità ma a proporre un dato semplice: non è l’etichetta verbale che risolve un problema.
Dichiarazioni nella campagna elettorale 2018: “Centomila clandestini da espellere” dice il candidato Tizio; “Sono pochi: ce ne sono mezzo milione, vanno allontanati tutti” replica il collega di partito candidato Caio.
Non è avvenuto. In concreto la media dei rimpatri mensili verso i paesi di origine è stata di 581 con l’attuale governo, di 562 con il precedente.
Perché il rimpatrio degli immigrati che non hanno titolo per rimanere in Italia avviene, ma il decreto di espulsione è un atto amministrativo che resta un pezzo di carta se non c’è un’organizzazione adeguata e se non si trovano accordi con i paesi di origine.
l’Italia può fare passi avanti per rendere effettivi i rimpatri se migliora la sua gestione complessiva del fenomeno migratorio, aumenta il suo prestigio internazionale, si inserisce autorevolmente nelle dinamiche europee e mondiali.
Ma intanto la presenza di stranieri è un dato di fatto che non si può pensare solo di recintare o rendere invisibile. I mendicanti “clandestini” di Como, che tanto turbano, sono il frammento minimo di un mondo in cui i migranti climatici sono oltre cento milioni, i profughi per guerre e carestie sessanta milioni, gli stranieri irregolari nei trumpianissimi Stati Uniti undici milioni.
Fintantoché queste persone vivono tra di noi devono essere conosciute una ad una, magari anche da un sacerdote generoso ed eroico ma in primo luogo dalle anagrafi, dai servizi socioassistenziali, dai servizi di psichiatria, dalle scuole, e anche – se i decreti-sicurezza cambiassero – organizzando lavori socialmente utili.
Perché fino a quando diventeranno degli ex immigrati, per scelta o per rimpatrio - quando il “provvedimento amministrativo” diventerà un vero viaggio di ritorno – queste persone esistono, semplicemente esistono.
E accompagnare le loro esistenze può essere un atto di meravigliosa carità, come è stata quella di don Roberto, ma conoscere le loro esistenze e provvedere alle condizioni minime di una vita dignitosa e regolata, è – anche - la prima difesa della nostra sicurezza, in un mondo troppo complesso per essere ridotto alla parola “clandestino”.
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