C’è quel gioco della “Settimana Enigmistica” che invita a unire i puntini per far apparire qualcosa. Ecco, i puntini delle elezioni presidenziali negli Usa ci portano al 2001 in Italia. Sono state le elezioni che hanno ispirato uno degli sketch più riusciti di Corrado Guzzanti, quello di Veltroni che denuncia “una mozione Amedeo Nazzari contro di me, ma Amedeo Nazzari non si può candidare perché è morto, bisogna cambiare la legge…”. Ma non solo. Il centrosinistra, cioè, grosso modo la versione nazionale dei Democratici americani, era al governo e aveva già candidato il presidente del Consiglio, Giuliano Amato, salvo poi detronizzarlo in corsa perché considerato non adatto alla sfida con Silvio Berlusconi, a capo del governo due legislature prima e sconfitto da Romano Prodi nel 1996. Al posto dello scafato esponente socialista era stato scelto Francesco Rutelli, più giovane, prestante e smart. I sondaggi avevano subito registrato con favore la scelta del centrosinistra.
La campagna elettorale era stata tutta improntata contro il “Cavaliere nero”, pericolo per la democrazia. Molte procure erano partite lancia in resta per cercare di incastrare l’imprenditore, e gli avversari avevano cavalcato l’offensiva giudiziaria. Tanti personaggi dello spettacolo non si erano risparmiati negli inviti a evitare una sciagura per l’Italia, e molti importanti media (anche i giornali cartacei, che allora contavano ancora qualcosa) non avevano esitato a schierarsi. Alla vigilia del voto, tutti i sondaggi (segreti, perché la legge italiana vieta la pubblicazione nelle due settimane che precedono l’apertura dei seggi) rivelavano un testa a testa, con un leggero vantaggio per Rutelli. Un dato che trovò conferma nei primi exit poll a spoglio in corso. Poi, già le prime proiezioni tolsero ogni illusione al centrosinistra e a Rutelli. Silvio Berlusconi marciava come un treno ad alta velocità verso la vittoria e avrebbe governato con un’ampia, seppur non granitica, maggioranza per i successivi cinque anni.
Insomma, dall’altra parte dell’oceano, i puntini rivelano la figura ingombrante del tycoon che torna alla Casa Bianca dopo una legislatura, esattamente come fece Silvio ventitré anni fa. Le considerazioni che si possono fare sono numerose. La prima è che se i Democratici americani si sono ridotti a imitare uno dei peggiori centrosinistra italiani (il campionario è vasto), senza oltretutto la genialità della mozione “Amedeo Nazzari” di Corrado Guzzanti, significa che non sono proprio messi bene. La seconda è il tormentone sulla democrazia in pericolo. Come diceva qualcuno, la democrazia medesima non è il miglior sistema politico, ma solo il meno peggio. A difenderla ci sono le Costituzioni, quella degli Stati Uniti su tutte, che funziona talmente bene da portare un uomo di grande potere e spregiudicatezza come Richard Nixon a dimettersi per scampare all’onta dell’impeachment dopo l’inchiesta giornalistica sul Watergate.
Certo, i tempi sono cambiati, ma se un giornale può far cadere un presidente che pure sui media aveva un potere non inferiore a quello di Trump, la democrazia riuscirà a dormire sonni tranquilli. Come sempre, anche nel caso delle elezioni USA, chi vota guarda più alla pancia che ai principi. E gli americani, che a causa dell’inflazione e a dispetto delle analisi macroeconomiche che premiano l’azione di Biden, si sono ritrovati aumenti esponenziali per hamburger e benzina (due merci molto consumate da quelle parti), hanno deciso di cambiare. Se hanno avuto ragione, come sempre, lo scopriremo solo vivendo.
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