I vestiti di Elly e il rumore del nulla

Nel dicembre scorso, il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, ha pubblicato una foto di Pierluigi Bersani fuori dal negozio di Louis Vuitton a Roma. E gli è stato facile ironizzare sull’ennesimo compagno con il Rolex che gioca all’estremista in aula per poi fare shopping in un notissimo e carissimo marchio del lusso.

Ma essendo una persona intelligente - molto intelligente -, dettaglio non da poco visto l’avvilente livello medio della categoria, appena ha saputo che il leader di Articolo Uno si trovava lì per comprare il regalo di Natale alla moglie e che così la sorpresa era rovinata, qualche giorno dopo ha scritto la cosa più saggia del mondo: «Giuro che mi sono sentito una merda, come poche volte mi è successo in carriera: solo un moralista cretino avrebbe potuto fare ciò che ho fatto».

Questa è una lezione che i politici e i giornalisti dovrebbero imparare a memoria e stare di conseguenza mille miglia lontani dal pauperismo straccione, ipocrita e bacchettone che inzacchera la cosiddetta politica e il cosiddetto giornalismo della repubblica delle banane. E invece, come era facile prevedere, niente da fare. Rieccoci qui. Ha menato grande scandalo e scatenato scarmigliate polemiche e altrettanti sberleffi e irrisioni e scomuniche e ululati - insomma, non si è parlato d’altro per due giorni - l’ormai iconica intervista di Elly Schlein a “Vogue” nella quale, all’interno di una sterminata sequela di domande sull’universo mondo, c’erano pure cinque righe nella quale rivelava di avere una professionista del settore che le sceglie vestiti, colori e accostamenti, non avendo lei né gusto né tempo per le questioni di moda.

Ora, in un paese normale, non particolarmente sottosviluppato e non pervicacemente dominato dall’analfabetismo di andata e di ritorno tutta la faccenda, al di là di chiedersi come si fa a pagare 300 euro l’ora per farsi conciare come una comparsa di un film di Guadagnino, sarebbe stata archiviata con un unanime chissenefrega. E magari ci si sarebbe concentrati sul nulla del resto dell’intervista e sulle supercazzole che il segretario del Pd dissemina a raffica sui temi più scottanti dell’agenda politica, quali guerra in Ucraina, politica ambientale, sicurezza, immigrazione eccetera. Invece qui, nel Granducato della fuffa è partito a canali unificati il circo Togni della destra: e insomma e vergogna e Ztl e terrazza e salotti e radical chic e lei si veste color salvia e intanto il popolo soffre e lei assume l’armocromista e la gente non arriva a fine mese e i rider e i pescatori e gli acquafrescai e i salatori di aringhe e gli accenditori di lampioni e intanto lei si fa intervistare dalla rivista delle sciure snob e bla bla bla. E, dall’altra parte, è partito in contemporanea il circo Medrano della sinistra: e vergogna e scandalo e imparasse da Berlinguer e traditrice dei valori della Resistenza e della eroica lotta al nazifascismo e che schiaffo all’Anpi e che sgarro alle piccole vedette lombarde e che sfregio alle mondine piemontesi e alle coltivatrici di lupini siciliane e bla bla bla.

Ma, scusate, questa è politica? Questo è giornalismo? Questo è l’Asilo Mariuccia, è l’informazione spazzatura che ci meritiamo perché vomita sulla carta, in tv e sui social la prima cosa che ci passa nemmeno per la testa, ma per la panza, il 100% di infantilismo, il 100% di moralismo, il 100% di tartufismo. Ora, premesso che, come ha ricordato Bertinotti - uno che di golfini di cachemire se ne intende – l’attenzione al vestiario l’aveva anche Togliatti, che chiedeva ai suoi parlamentari di andare in aula con l’abito blu, e pure Di Vittorio insegnava ai suoi braccianti di sostituire il tabarro con il cappotto, come i borghesi, e premesso che la cura del look, piaccia o non piaccia, la praticano tutti i politici, come mai dovrebbe vestirsi una leader di un partito di sinistra? Di stracci? Con i vestiti di seconda mano? Le gonne smesse della nonna? Rovistando nei cassonetti della San Vincenzo? Con il cappotto rivoltato di De Nicola? Deve mettersi il saio o la tuta di Cipputi e trascinare sacchi di carbone, pulciosa, cenciosa e forforosa, altrimenti non è abbastanza di sinistra? Ma dove siamo, in prima elementare? Al te delle cinque delle beghine? Al crocicchio delle lavandaie? I politici sono tutti benestanti - guadagnano 12mila euro al mese - ed è normale che spendano per vestirsi come il marketing gli suggerisce per incasellare la loro immagine nel segmento di elettorato che vogliono coltivare. Fatti loro. L’importante è che paghino l’armocromista non con i soldi del partito e possibilmente non in nero. E che per il resto pensino a lavorare.

Altrimenti, se vogliamo fare i demagoghi da quattro soldi fino in fondo, la frittata la si può rivoltare pure contro la Meloni: e insomma e vergogna e scandalo e questa prende i voti vendendosi come la popolana della Garbatella, dei mercati rionali, della gente comune, della gente come noi e poi si compra un tailleur di Armani per andare alla Scala e brava e andiamo bene e complimenti e poi fa quella della destra sociale e poi fa quella che combatte la casta e i poteri forti e i tecnocrati e intanto si veste come la moglie di Draghi e dei banchieri trilaterali di Bruxelles e bla bla bla.

E quindi? Che argomento è? Come deve presentarsi a Palazzo Chigi la Meloni, con i vestiti della sora Lella? Perché dobbiamo sempre coprirci di ridicolo? E allora il serio e riformista Bonaccini, che prima di diventare presidente dell’Emilia Romagna sembrava una via di mezzo tra un personaggio di Gogol e uno del “Secondo tragico Fantozzi” e adesso assomiglia a un tronista di “Uomini e donne”? E la bandana di Berlusconi? E il chiodo di Renzi? E le scarpe di D’Alema? E la cravatta sul petto nudo di Salvini? E gli stivali di Soumahoro? E i fazzoletti di Conte? E la canottiera di Bossi?

Tutta fuffa, tutta cartapesta, tutto marketing al quale solo l’informazione nazionale può dar credito - quella locale è mille volte più seria - ma che l’informazione sia ormai da tempo il regno del ridicolo non è nemmeno più una notizia.

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