I virologi cantano
ma a noi non passa

Loro cantano, ma a noi non passa, il Covid. Premessa d’obbligo per i pezzi come quelli che forse avrete la cortesia di leggere fino in fondo. Chi scrive ha già fatto la terza dose ed è pronto a offrire ancora il braccio alla causa. Proprio per questo considera più che censurabile il fatto che la campagna per i vaccini diventi una pagliacciata degna del festival, di San Scemo però. Il riferimento è ai tre non più stimabili virologi Andrea Crisanti, Matteo Bassetti e Fabrizio Pregliasco che, durante il fortunato programma radiofonico “Un giorno da pecora”, hanno intonato una distorsione di “Jingle bell” in versione “No vax”, con un esito pessimo e non solo dal punto di vista canoro.

Perché la situazione che stiamo vivendo con tutti i suoi risvolti drammatici e tragici non merita di finire in caciara, sui tavoli dell’osteria al motto di “Passatemi il fiasco”. Anzi, forse sarebbe il caso di toglierlo il fiasco ai tre virologi e restituire loro la provetta. E magari ricordargli che al microfono dovrebbero preferire il microscopio. Per carità, si possono anche capire questi personaggi. Per anni di fatto non sono esistiti, chiusi nei loro laboratori con le caviette che gli fanno ciao come unica compagnia, tutto il giorno a studiare piccolissimi e letali avversari dell’uomo. Un’opera benemerita che nulla c’entra con questo edonismo un tanto al chilo che ha portato, come estrema conseguenza del concedersi ai media, all’esibizione canora da “Tre dottores”.

Ovvio che siano piovute le critiche. La migliore l’ha espressa ieri mattina nella trasmissione di Radio 24 “Uno, nessuno, centomilan”, un ascoltatore. “Mi verrebbe voglia di restituire i vaccini”, ha detto, condensando il pensiero di molti che hanno assistito all’esibizione del trio, ovviamente rilanciata da siti e social. Non hanno pensato gli illustri clinici che la loro sortita avrebbe potuto avere contraccolpi negativi? Che con la salute non si scherza, neppure quando si tenta un gioco, mal riuscito, per fare opera di sensibilizzazione? Alzino la mano i “no vax” che hanno deciso di cambiare idea sulla spinta di queste ugole stonate. Che faremo ora, ci recheremo dal medico di famiglia che, per convincerci a seguire la cura, anziché scriverla sulla ricetta, ce la canterà, magari consegnandoci la registrazione così da ricordare che dobbiamo prendere le pillole?

Sarà forse vero che l’eccessiva esposizione ai riflettori della tv fa lo stesso effetto quella prolungata al sole: stordisce il cervello. E non è solo il caso dei virologi. In questi mesi abbiamo assistito alla trasfigurazione di autorevoli intellettuali in macchiette da bar dove chi la spara più grossa deve offrire il giro di bianchini offerto.

Da quando il virus è apparso sulla scena, tutti fanno a gara nel tentare di rubargliela. Con scarso successo. Perché il Covid ha dimostrato una capacità di mutare, quasi migliore di Fregoli. E forse appena nota che l’attenzione cala, si ripresenta con una nuova foggia. Perciò è una guerra persa cari virologi, infettivologi, esperti assortiti. Con il rischio di un brutto retropensiero, di certo irreale, ma umano per cui magari qualcuno possa avere interesse a lasciare in circolazione il nemico pubblico numero uno dell’umanità di oggi. Una volta sparito lui, infatti, non resterebbe che il ritorno nei tristi, freddi e un po’ spettrali laboratori.

Un conto, come è sempre successo, che siano cantanti o artisti a mettere le loro virtù al servizio della campagna vaccinale, ma dai medici ci si aspettano solo consigli saggi, terapie e serietà.

Basta ricordarsi un proverbio lombardo delle nonne: “Offelee fa el to mesté”, cioè “Pasticcere (le offelle sono biscotti piatti al burro) fa il tuo mestiere” che risale ai tempi in cui gli artigiani dolciari manco ci pensavano ad andare in tv. Perché non c’erano neppure i cooking show.

© RIPRODUZIONE RISERVATA