Il caso alpini: femminismo
che diventa squadrismo

Femminismo ogni tanto è sinonimo di squadrismo. Ne sa qualcosa la povera coordinatrice delle donne del Pd di Rimini, che dopo aver detto alcune cose di assoluto buonsenso sul caso delle presunte molestie sessuali all’adunata degli alpini, è stata appesa per i piedi al lampione di piazzale Loreto e, di fatto, costretta alle dimissioni.

Sonia Alvisi - questo il nome della nuova Infame, della nuova Sgualdrina, della nuova Claretta - si è permessa di rilasciare un’intervista alla Stampa nella quale, commentando il caso delle centinaia di segnalazioni (ma non denunce) di molestie raccolte da un’associazione femminista, sottolinea l’importanza di un atto formale per far sì che le segnalazioni siano più credibili. Il ragionamento è limpidissimo: “Non sappiamo cosa sia successo. Se queste ragazze hanno subìto una molestia è giusto che si rivolgano alle autorità, anche contro ignoti. Se subisco una molestia devo andare subito a denunciarla, perché se poi dico qualcosa senza averlo fatto divento meno credibile rispetto a quello che ho subìto”.

Impeccabile, no? Se c’è un reato, quel reato è un singolo reato, non un reato universale. E se c’è un reato, quel reato ha bisogno di prove circostanziate per essere perseguito: un video, una foto, un testo scritto, un testimone. Altrimenti, che quel fatto sia accaduto o meno, questa non è più ricerca della giustizia. Questo è il Circo Barnum. All’interno del quale chiunque è legittimato a dire cose a caso senza portare la pietra d’angolo su cui si basa la nostra civiltà giuridica: l’onere della prova. Ci sono le prove delle molestie sessuali di qualche singolo alpino o di qualche specifico gruppo di alpini a una singola donna o a uno specifico gruppo di donne? Se sì, si proceda secondo i termini di legge. Se no - ripetiamolo, anche se il fatto fosse vero - non si può procedere perché la semplice parola di una persona, anche in assoluta buonafede, contro ignoti non può mai diventare una prova di reato.

E invece qui, nella repubblica delle banane che ormai della legge, dei codici, delle garanzie individuali ha fatto carne di porco e che vive solo sulla chiamata di correo, sulle generalizzazioni, sull’ideologia conformista e moralista, è andato subito in scena l’avanspettacolo. Una sarabanda di dichiarazioni tonitruanti di avvocatesse assatanate, di filosofe con l’uzzolo della superiorità genetica delle donne sugli uomini - che è una panzana ridicola quanto quella della superiorità degli uomini sulle donne: non esistono le categorie, esistono gli individui, mettetevelo in testa – di sacerdotesse del politicamente corretto, di mattoidi, esagitati, paraculi del giornalismo che quello che dice il mainstream è sempre la cosa giusta, reduci forforosi del ’68, trotzkisti del catasto di Aci Trezza e codazzo felliniano al seguito.

Perché, alla fine, il messaggio che è passato in tutto il suo lucore fariseo è il seguente: gli alpini in quanto militari sono tutti fascisti, gli alpini in quanto uomini sono tutti stupratori, gli alpini in quanto amanti del vino sono tutti violenti e autoritari e, quindi, tutti gli uomini sono violenti, tutti gli uomini vanno rieducati, le adunate vanno sospese per due anni (c’è una petizione con già 18mila firme) e infatti quando la Alvisi da vera masochista - incredibile: garantismo a sinistra… - ha scritto una nota di solidarietà per “l’inaccettabile discredito verso un corpo di valore riconosciuto e indiscusso del nostro esercito” prendendosi pure della guerrafondaia – che in un paese di pacifismo tartufesco come questo è una parola impronunciabile, tanto poi quando arrivano i guai andiamo tutti a nasconderci sotto le sottane dagli americani, vero? - ha segnato la sua fine politica.

Se si fosse stati alla larga dalla demagogia cialtrona che ha devastato i media, si sarebbe dovuto riflettere sul problema oggettivo dei grandi eventi di massa, quali che siano - bersaglieri, notti rosa, concerti, partite di calcio, feste di fine scuola, botti di Capodanno, discoteche, balli in piazza - perché quando tante persone si assembrano in gruppo e quando non c’è limite all’alcol, alle droghe e all’esuberanza da vacanza, da sabato sera, il rischio è inevitabile. Così come quello degli infiltrati, che è il vero guaio delle adunate degli alpini. Ormai quelli veri, che hanno fatto il servizio militare, sono tutti dai quaranta in su, i ragazzotti con il capello e la penna nulla hanno a che fare con gli alpini, la loro storia, la loro cultura e, di certo, tra quelli non manca chi si infila per fare casino e, magari, infastidire verbalmente le donne o allungare le mani, o peggio.

Questo però è un problema gravissimo di gestione della sicurezza, a tutti i livelli, durante gli eventi di massa, non certo una diagnosi antropologica-razziale sui militari in congedo che, in quanto militari e in quanti maschi, sono tutti potenziali violentatori. Ma ci siamo bevuti il cervello? Dove siamo? In Colombia? In un romanzo di Sciascia? Da quando in qua la diceria ha più valore dei fatti oggettivi? Come è possibile che la presidente del Pd, Valentina Cuppi, dica “tante donne sostengono di aver subito delle molestie: anche se non hanno denunciato, io credo a queste donne”? Che cosa significa? E poi, che cos’è una molestia? “Buongiorno principessa” è una molestia? “Hai dei bellissimi occhi azzurri” è una molestia? Chi lo decide? Il Tribunale delle Ayatollah del femminismo benpensante 4.0? Scrivono direttamente loro la sentenza contro tutto il genere maschile? E cosa facciamo con l’assessore alle pari opportunità della Regione Veneto, Elena Donazzan, che dice: “Se uno mi fa un sorriso e mi fischia dietro io sono pure contenta”? Appendiamo pure lei a piazzale Loreto?

Le molestie sessuali sono una vergogna vera e diffusa non solo nelle piazze, ma anche sui posti di lavoro - e nelle redazioni… - e vanno combattute una per una, basandosi sulla legge e sul rigore, non certo sulle ridicole guerre di religione di pseudo femministe da quattro soldi.

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