Il dibattito Biden-Trump e gli eredi di re Giorgio

Chi non ha visto il film “La pazzia di re Giorgio” dovrebbe proprio rimediare quanto prima. Ci sono infatti diversi buoni motivi per rintracciare questa pellicola. Girata la bellezza di trent’anni fa, è invecchiata come e meglio del buon vino. Per prima cosa, è da apprezzare la bravura degli interpreti – attori del calibro di Nigel Hawthorne, Helen Mirren e Ian Holm -, poi va riconosciuto che la sceneggiatura, basata su una commedia teatrale di Alan Bennett, è praticamente perfetta; infine, si tratta di un’opera di estrema, anche se involontaria, attualità. Il tema di fondo è più che mai stringente: che cosa fare quando il potere va fuori di testa? E qui non si intende un andare fuori di testa generico o caratteriale, ovvero di un’impennata dell’ego di un presidente o di un eccesso di autorità da parte di un sovrano. Per quanto gravi e serie siano queste circostanze, il film va oltre e si pone il problema di cosa succede quando il capo dello Stato lascia intuire delle difficoltà a livello mentale o neurologico.

Lo spunto de “La pazzia di re Giorgio” è storico. Giorgio III, re di Gran Bretagna e Irlanda dal 1760 al 1801, pochi anni dopo l’incoronazione diede segno di gravi squilibri psichici. E non è che quegli anni dal punto di vista sociale e politico fossero proprio privi di eventi di una certa importanza: abbiamo la Rivoluzione industriale, tanto per incominciare, e poi la guerra d’indipendenza delle colonie americane e infine un certo Napoleone che incomincia a scorrazzare per l’Europa. Giorgio III era solo vagamente consapevole di tutto ciò, perché immerso in una forma di disagio mentale alla quale solo i medici nostri contemporanei hanno potuto dare un nome scientifico. Tanto è vero che il film si conclude con una didascalia sullo schermo che riporta il nome della possibile malattia del sovrano. Aggiungendo: “Si tratta di una condizione ereditaria”.

Questa osservazione vuole essere un’ironica strizzata d’occhio. Vale a dire: siccome i membri dell’attuale famiglia reale britannica sono imparentati con la casata di re Giorgio (gli Hannover), stai a vedere che prima o poi uno di loro darà fuori di matto.

In questo, il vantaggio della repubblica sulla monarchia è evidente. Il doloroso spettacolo di un Joe Biden confuso e traballante durante il dibattito televisivo con Donald Trump esclude almeno la trasmissione del problema su scala istituzionale. Hunter Biden, primo erede maschio ancora vivente, non diventerà presidente degli Stati Uniti per diritto divino, anche perché con il diritto – e la giustizia – ha già i suoi problemi.

I problemi però li ha anche l’America e non soltanto il partito democratico che, ora, si trova alle prese con un candidato alle imminenti elezioni non più in grado di reggere agli impegni del mandato già ora, figuriamoci per i prossimi quattro anni.

L’alternativa Trump-Biden proposta agli elettori, a meno di un drammatico cambio di rotta da parte dei democratici, ha per l’America (e per il mondo intero) un solo merito: illuminare il presente stato di cose nel nostro mondo come solo le metafore più riuscite sanno fare. La leadership del mondo libero è contesa tra due figure che, insieme, rimandano il perfetto ritratto della presente civiltà occidentale. Abbiamo infatti due uomini d’età – 81 anni Biden, 78 Trump -, di non particolare statura intellettuale o morale; uno fragile e smarrito, incapace di cogliere, interpretare e gestire gli stimoli che gli provengono dall’esterno, l’altro tronfio, mai attraversato da un dubbio, instancabile piazzista del proprio ego.

Come le metà di una mela, compongono l’insieme della nostra civiltà che dietro l’arroganza e l’evanescenza del virtuale nasconde il triste sfarinarsi del pensiero, dei valori, della coerenza.

A questo punto vien voglia di azzardare una proposta bizzarra: che si dividano la presidenza, i due, che alla Casa Bianca entri un presidente a due teste, una coppia di proconsoli unita nell’abbraccio del potere. Sarebbe un disastro ovviamente, una catastrofe: ma almeno il tramonto dell’Occidente avverrebbe nel segno della coerenza.

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