Il femminismo sta diventando il nuovo antifascismo.È una specialità tutta italiana: prendere un concetto nobilissimo e condiviso – siamo tutti ben consci di cosa sia stata la dittatura in Italia e di quali siano i valori fondanti della Repubblica, siamo tutti ben consci dell’inaccettabilità delle discriminazioni di genere – e trasformarlo in mera retorica, in concerto di grancasse, pifferi e tromboni, in esibizione di pagliacci, macchiette e saltimbanchi.
A questo proposito, è stata deflagrante l’ultima intervista concessa alla Stampa sul tema donne e carriera dal noto storico medievista Alessandro Barbero, che nelle ultime settimane - denotando una certa ansia da notorietà e una certa tendenza a tirar tardi in fiaschetteria - ha prima questionato sulla “falsificazione storica” delle foibe, poi ha stigmatizzato la “discriminazione” del Green pass chiesto ai docenti universitari e, infine, appunto, è intervenuto sulla questione della parità di genere domandandosi se “le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi”.
Apriti cielo. Il malcapitato professore, tanto abile e affascinante nei suoi libri e nelle sue conferenze divulgative, si è dimostrato così ingenuo - o narciso? - da non capire che un’affermazione di questo tipo avrebbe scatenato l’inferno sul rutilante mondo dei social. E infatti. Mascalzone e farabutto e maiale e maschilista e machista e sessista e padre padrone e cavernicolo e randellatore e servo ursigno della società patriarcale e vergogna e radiatelo dall’università e radiatelo dalla Rai e radiatelo da qualsiasi casa editrice dell’Italia e del mondo e tutto il resto della sequela di insulti che potete ben immaginare, perché è di questa melma che è fatta la chiavica del meraviglioso mondo digitale.
Ma la cosa più grave non è tanto questa, quanto il fatto che la giusta contestazione di un’affermazione oggettivamente scivolosa, per quanto all’interno di un’analisi storica non banale, ha fornito l’alibi perfetto a tutti i peggiori tromboni del peggior conformismo e terrazzismo nazionale per usare questo incidente come una mazza ferrata per imporre la nuova religione unica e incontestabile del mondo. Esattamente come si fa con l’antifascismo, appunto, che non è più principio etico altissimo e momento storico specifico, ma vero e proprio lasciapassare che viene concesso solo agli amici degli amici e negato a chiunque - anche se democratico, liberale e antifascista – che non la pensi come il gran sinedrio degli antropologicamente superiori “de sinistra”.
E quindi, la sacrosanta difesa dei diritti delle donne è diventata immediatamente la superiorità ontologica delle donne, con una serie di tirate retoriche da mal di testa, ogni dichiarazione una carie ai denti, ogni aggettivo superlativo un picco di colesterolo, ogni commossa esaltazione una cucchiaiata di melassa. E le donne sono questo e le donne sono quello e le donne, soprattutto, sono meglio, più intelligenti, più colte, più studiose, più mature, più sagge, più generose, più pure, più candide, più forti, più muscolose, più tatuate, più accorte e più visionarie, più generose e più evangeliche, più questo, più quello e anche più quell’altro con una tale fanfara dannunziana al seguito da far coprire di ridicolo chi la suona e chi la ascolta e da spingere alla rivolta fantozziana anche il più timido dei maschietti: “Wilma, dammi la clava!”.
E la cosa ancora più grottesca è che tutta questa ondata di “donnismo” enfatico e magniloquente viene propagandata a pieni polmoni dai giornali, che sono tra i luoghi più maschilisti che esistano sulla faccia della terra - e più sono importanti, più sono maschilisti - e nei quali tanto si sbrodola quando si scrive sulle mille virtù teologali delle donne quanto poi le si tratta come pezze da piedi quando si lavora. Almeno la decenza di starcene zitti, per cortesia.
Ma a parte queste miserie, davvero crediamo che il genere sia così determinante, così dirimente, così decisivo? Ma davvero pensiamo che quelli lì, tutti quanti, siano peggiori e quelle là, tutte quante, siano migliori? Quelli tutti vigliacchi, quelle tutte angelicate, quelli tutti maiali, quelle tutte madonnine infilzate eccetera eccetera? Ma cos’è, un film per sciampiste? Certo che i generi esistono, e ci mancherebbe altro, con tutte le loro differenze biologiche, psicologiche e culturali, ma mai possono prevaricare l’individuo. E noi sappiamo bene di cosa è fatto l’individuo, quali sono le sue pulsioni: la sopravvivenza, il possesso, l’odio, la vendetta, l’ambizione, la foia, la difesa del territorio, la solitudine, il rancore, così come anche l’amore, la speranza, la misericordia. E tutti quanti ne hanno in carico la giusta misura e non c’è alcuna differenza tra maschi e femmine, ma solo tra un singolo e l’altro.
Non esistono schiere di cherubine e serafine e da una parte e legioni di demoni depravati dall’altra. Esiste soltanto l’individuo. E così come ci sono singoli individui, uomini e donne, che fanno carriera solo grazie al loro lavoro, alla loro tenacia e alla loro intelligenza, allo stesso modo ci sono singoli individui, uomini e donne, che fanno carriera solo grazie al loro servilismo, al loro conformismo e ai loro tradimenti, ci sono uomini che si sono fatti largo a furia di leccare scarpe, piedi e zerbini, ci sono donne che si sono fatte largo a forza di saltare da un letto all’altro. E anche questa è una verità antica come il mondo e nessuno può pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto appena affermato perché, presto o tardi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.
Quindi, evitiamo di trasformare un’infelice intervista del professor Barbero in una guerra di religione, in un regolamento di conti, in una scomunica planetaria e in una ridicola chiamata di correo. Qui nessuno ha ancora portato il cervello all’ammasso e con le tonitruanti lettere scarlatte del #MeToo ci si soffia tranquillamente il naso.
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