Visto che in Italia si usa cambiare le Repubbliche anche senza scombussolare la Costituzione, si può dire che con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi, se ne vada anche la Seconda. La Prima, quella segnata dalla lunga egemonia della Dc, del centrismo, poi del centrosinistra nelle varie versioni quadri o pentapartito, era terminata sotto i colpi di Tangentopoli e le macerie del Muro di Berlino. Si è parlato di Terza Repubblica, anche quando i Cinque Stelle hanno vinto le elezioni del 2017, ma, alla fine è stato un fuoco di paglia. Quella che si definisce Seconda Repubblica è stata segnata da un partito inventato in pochi mesi tra il 1993 e il 1994 con il nome che è uno slogan da stadio: Forza Italia. Un movimento personale legato in maniera indissolubile e più di ogni altro al suo fondatore e capo: Silvio Berlusconi, appunto. Il Cavaliere, prima di lasciare questa Terra, ha sistemato le sue aziende assegnandole ai figli: la Mondadori per Marina e Mediaset per Pier Silvio. Dove finirà il resto della galassia contenuta nella cassaforte Fininvest, lo sapremo all’apertura del testamento. L’altro grande asset, il Milan, è stato ceduto anni fa, quando Silvio Berlusconi è uscito dal mondo dello sport per restare esclusivamente in quello della politica. Perché non si è ritirato anche da lì? Per due ragioni: la consapevolezza che, senza di lui e Forza Italia, il centrodestra sarebbe scivolato troppo a destra, perdendo gli agganci con l’universo moderato rappresentato in Europa dal Ppe, e soprattutto perché coltivava il sogno, neppure troppo segreto, di culminare la sua carriera con il massimo risultato: la presidenza della Repubblica. A chi gli obiettava che era un traguardo impossibile, il Cavaliere rispondeva che glielo avevano detto anche quando era sceso in politica per arrivare al governo o aveva acquisito il Milan con l’obiettivo di portarlo sul tetto d’Europa e del mondo. Forse per questo Forza Italia è rimasto fino all’ultimo un partito personale, anche dal punto di visto finanziario, poiché Berlusconi (e ora i suoi eredi) è il principale creditore degli azzurri.
La scomparsa del fondatore e l’assenza di un erede designato, con tutto il rispetto per Antonio Tajani, gettano pesanti incognite sul futuro di quella che, pur in quadro tendenzialmente bipolare, resta la principale forza di centro. Date le premesse c’è da chiedersi se il movimento, oltretutto diviso al suo interno in correnti e correntine, riuscirà a sopravvivere. E in caso contrario che fine faranno i voti? Resteranno nel centrodestra, spartiti tra FdI e Lega o migreranno verso l’ex Terzo Polo. Perché forse, quello che sarebbe potuto essere davvero l’erede di Berlusconi, si trova proprio lì e si chiama Matteo Renzi. E se non ha ricevuto l’investitura è perché, come ha detto anche ieri in varie interviste, il Cavaliere ha rotto il patto del Nazareno stipulato con l’allora segretario del Pd, a causa della scelta di quest’ultimo sulla candidatura di Mattarella al Quirinale. La storia politica del Paese, e anche il destino dei referendum di Renzi che avrebbero sì avviato il cammino verso una nuova Repubblica attraverso una modifica costituzionale, sarebbe potuta essere diversa. Il rischio di un’Italia che perda la sua principale forza moderata che oltretutto è al governo, non riguarda solo il nostro Paese, ma anche il rapporto con l’Europa, divenuto meno lineare dopo l’ascesa di Giorgia Meloni a palazzo Chigi. E dietro l’angolo ci sono, nel 2024, le elezioni per il nuovo Parlamento europeo, dove i partiti correranno da soli e non in coalizione.
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