“Fuori l’Italia dalla Nato”. Sembra uno slogan degli anni ’70 e invece è un’affermazione di qualche giorno fa di Marco Tarquinio, ex direttore di “Avvenire”, il quotidiano della Cei, candidato dal Pd alle elezioni europee. Chiaro che queste parole abbiano suscitato scalpore dentro un partito che, pur con qualche sbandamento, è sempre stato allineato con le posizioni europee e della maggioranza delle forze politiche italiane sulla guerra in Ucraina, votando l’invio di armi per contrastare l’invasione sovietica.
A maggior ragione le parole di Tarquinio assumono un carattere sconcertante dopo l’uscita del segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, sull’eventualità di un utilizzo delle armi Nato da parte dell’Ucraina per azioni militari in territorio russo.
Un bel pateracchio insomma per il Pd. Persino Massimo D’Alema, in un post sul social “X” ha voluto ricordare il famoso precedente di Enrico Berlinguer, leader del Pci negli anni ’80 che aveva consumato il suo clamoroso strappo con Mosca in un’intervista rilasciata a Giampaolo Pansa, in cui dichiarava di sentirsi più al sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che all’ombra del Patto di Varsavia. Altri tempi, che però sembrano tornare attuali alla luce dell’invasione di Putin all’Ucraina che ci ha fatto rimbalzare in un clima anche più inquietante di quello della Guerra fredda. Eppure l’affermazione di Tarquinio ha radici lontane e non estranee dalla cultura politica del Pd. I dem, infatti, sono figli dei post comunisti e della sinistra della Democrazia cristiana. Quest’ultima corrente interna alla storica Balena Bianca, che ha sempre propugnato il cattolicesimo sociale, era nata per iniziativa di un gruppo di esponenti dello scudo crociato di grande spessore etico e intellettuale che, negli anni dell’immediato dopoguerra, facevano parte della cosiddetta “Comunità del Porcellino” (il riferimento è gastronomico) che era ospitata a Roma, dalle sorelle Portoghesi e dove nacque buona parte della nostra Costituzione. In quel gruppo vi erano personaggi del calibro di Giuseppe Lazzati, futuro e storico rettore dell’Università Cattolica, Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti.
Quest’ultimo, ascetico quanto La Pira, nel momento in cui Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio aveva accettato l’adesione dell’Italia alla neonata alleanza atlantica, si era opposto, alla scelta. Era il 1949, l’anno successivo alla decisiva vittoria della Dc nelle elezioni che avevano mantenuto l’Italia nell’orbita atlantica. Gli avversari erano i socialisti e i comunisti uniti nel “Fronte Popolare” con l’effigie di Garibaldi nel simbolo. De Gasperi aveva certo agito in coerenza anche con quel voto, ma Dossetti si era opposto, come ha ricordato in una recente intervista sulla guerra in Ucraina, padre Alex Zanotelli, missionario comboniano da sempre impegnato contro la produzione e la cessione delle armi. Il religioso sostiene che l’allora deputato aveva motivato così il suo diniego: “Carissimi deputati, io voto contro, per la semplice ragione che se noi aderiamo alla Nato d’ora in poi l’Italia non sarà più un Paese sovrano. La nostra politica estera la farà qualcun altro”, parole che suonano profetiche. Poi Dossetti aveva abbandonato la politica per farsi monaco e dare un contributo importante al Concilio Vaticano Secondo, voluto da Papa Giovanni XXIII. La posizione di Tarquinio ha perciò radici lontane che fanno parte della storia da cui è scaturito il Partito democratico.
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