È vero che un giornale che consiglia di non lasciarsi prendere dal panico può far sorridere - nessuno come i media, grazie a numeri e a commenti dati a caso, ha contribuito in questi mesi a seminarlo - ma la situazione del Covid sta degenerando a una tale velocità che se non si tengono i nervi a posto qui viene fuori una nuova Caporetto.
L’unico modo per tenere la barra dentro la rotta della razionalità è affidarsi ai numeri che, se ben interpretati, sono gli unici a poterci indicare le vere priorità, le cose da fare e quelle da non fare. Proviamo a vedere. L’ultimo report riassuntivo dell’Istituto superiore di sanità sulla pandemia ci offre alcuni elementi molto chiari. Al 4 ottobre i morti erano 36mila, quasi la metà dei quali in Lombardia, e la prima cosa molto significativa è che l’età media è di 82 anni (85 le donne, 79 gli uomini), gli uomini sono poco meno del 60%, le donne poco più del 40%. A marzo la media era invece di 80 anni, con 70% di uomini e 30% di donne. Insomma, di quei 36mila morti, ben 33mila ne avevano più di 70 anni, oltre il 90%.
Un altro dato molto importante e ormai strutturale è che la percentuale di deceduti sotto i 50 anni è dell’1%. Non solo, perché praticamente quasi tutti i morti quarantenni erano afflitti da importanti patologie pregresse, pazienti che da un punto di vista anagrafico erano giovani, ma da un punto di vista clinico e biologico assomigliavano a dei settantenni. Inoltre, il 73% di chi non ce l’ha fatta soffriva già di almeno altre tre malattie. E tra queste, quelle più letali se associate al Covid sono il diabete, le malattie cardiovascolari, la fibrillazione atriale, l’obesità e la demenza senile.
Tutta questa noiosa lista di dati - noiosa, ma istruttiva - sta a significare alcune cose. Innanzitutto che i nostri medici, non essendo stati presi alla sprovvista come in primavera, sono più preparati e hanno dei protocolli di cura più efficaci, tanto è vero che l’età media dei morti si sta alzando, le cure funzionano meglio e si riesce a salvare molte persone. Ma la cosa più importante è che il Covid è una malattia - per quanto riguarda la mortalità - sostanzialmente geriatrica, colpisce cioè in modo tragico gli anziani, gli anziani patologici. Non ci sono morti sotto i 40 anni, pochissimi sotto i 50. E questo la rende enormemente diversa dai virus devastanti, demoniaci che hanno segnato la storia della civiltà e che uccidevano tutti, ovviamente i più anziani e i più deboli, ma anche i giovani, i ragazzi, i bambini.
Siamo ancora tutti sconvolti per aver visto sparire in alcune zone d’Italia, e nei nostri territori in particolare, intere classi di età, i nostri padri, i nostri nonni - la nostra memoria più cara - spazzati via in pochi mesi e abbiamo ancora tutti negli occhi la scena dei camion militari carichi di bare. Sopportare 40mila morti è un peso terribile, a tratti insostenibile, ma che cosa sarebbe ora di noi se, oltre a questo, avessimo visto morire anche 30mila ventenni e trentenni, se avessimo visto morire anche 20mila bambini. Chi avrebbe potuto reggere la morte di 20mila bambini? Cosa sarebbe stato di noi dopo la morte di 20mila bambini?
E allora dobbiamo ragionare: il Covid non uccide i giovani, quindi piantiamola con le crisi isteriche e ridicole sulla salute dei nostri piccoli. I nostri piccoli non moriranno di sicuro. Però moriranno gli anziani - c’è qualcosa di più sacro dei nostri genitori? - perché il Covid purtroppo è molto contagioso e i giovani che lo prendono e che al 99% dei casi manco se ne accorgono poi lo passano ai genitori e ai nonni e lì iniziano i guai e allora noi, che viviamo in una società occidentale anziana, dobbiamo concentrarci solo su una cosa. Sulla protezione rigidissima, militare, giacobina degli ospedali, delle case di riposo, degli studi medici e sulla protezione ancor più militare di tutti gli over settanta.
Questo è il punto, questo e soltanto questo. Tutti gli altri - tutti - facciano la cortesia di mettersi la mascherina, di stare a distanza, di lavarsi le mani, di non assembrarsi, di assumersi la loro piccola percentuale di rischio e di andare a lavorare, di andare a scuola, di evitare tutti gli spostamenti e le occasioni superflue, di non andare in giro a fare i cretini, visto che abbiamo tutta la vita per fare i cretini come al solito, prima del Covid e dopo il Covid. E soprattutto di piantarla di frignare, che è possibile che ci si possa ammalare, anche seriamente - e farsi un passaggio in ospedale è di certo un’esperienza orribile - ma è molto difficile che si muoia.
Ovvio che dove la situazione è ormai fuori controllo - ad esempio a Milano e in Lombardia – non si potranno che prendere a breve provvedimenti drastici (con tutti i rimborsi per le attività colpite) che però devono assolutamente salvaguardare il lavoro e la scuola, anche in modalità a distanza. Ma la cosa fondamentale è uscire da questa spirale di panico generalizzato che fa perdere di vista le coordinate e che, oltretutto, non serve a niente. Chi agisce di impulso sbaglia sempre, chi ragiona con la pancia si infila sempre in un vicolo cieco, chi continua a giocare al gabbamondo pensando di lucrare chissà quali dividendi elettorali si qualifica per quello che è, e non c’era davvero bisogno del virus per pesare la nostra classe dirigente di statisti e luminari. Informazione compresa, naturalmente.
Per favore, usciamo dalla follia. Come quella davvero incredibile della fuga dagli esami di screening oncologico per paura di essere infettati in ospedale. Quindi, noi tutti, per paura di un virus che fa morire lo 0,3% dei contagiati, rinunciamo alle visite di controllo periodiche che permettono di curare tempestivamente una patologia come il cancro che fa morire in media il 50% di chi lo prende. Capite la follia? Per paura dello 0,3%, rischiamo il 50%. E il conto ci arriverà salatissimo nei prossimi anni, quando il Covid sarà (speriamo…) solo una lontana memoria. Ma che cosa stiamo combinando?
© RIPRODUZIONE RISERVATA