
Alla fine degli anni Ottanta, Indro Montanelli si era trovato a commentare in televisione un inaspettato fenomeno di costume americano: la decisione di un numero sempre maggiore di ragazze di rimanere “pure” fino al matrimonio.
In quella occasione, il grande giornalista - con sarcastico e spietato cinismo boccaccesco - aveva prima ricordato che quello non voleva dire nulla, visto che esistono mille modi per essere lascive e dissolute pur rimanendo illibate, e poi che questa decisione ideologica e stupida - stupida perché ideologica e non frutto di un percorso di fede - era l’inevitabile conseguenza dell’altrettanto stupido e ideologico culto del sesso libero, amorale e voyeuristico esploso nel decennio precedente. Dopo ogni sciocca deriva culturale ne nasce, per reazione, un’altra altrettanto sciocca, ma di segno diverso e opposto.
E che avesse pienamente ragione lo vediamo dimostrato, in tutt’altro campo, in questa stagione storica, che ha rapidamente visto l’emergere e il dilagare, con effetti devastanti, di due ideologie, due guerre di religione, due sante inquisizioni che hanno reso gli Stati Uniti, e l’Occidente in genere, un mondo infantile, irrazionale e ottuso che ha perso di vista, ha demolito la pietra d’angolo su cui era stato costruito nei secoli scorsi: il concetto di libertà e di individuo.
E’ solo così che si può spiegare davvero non tanto Trump, il cui profilo da bancarottiere, palazzinaro, giocatore di poker in fondo non è poi così interessante - il qualunquismo è una febbre perenne che da sempre serpeggia nei paesi democratici – ma soprattutto il trumpismo. Che mai sarebbe nato ed esploso in queste dimensioni oggettivamente esponenziali se non fosse stato fecondato dalla dittatura del politicamente corretto, della teologia woke che, di fatto, ha preteso di fare di temi quali la parità di genere, la sua fluidità, l’inclusione, l’integrazione eccetera non dei concetti sacrosanti su cui impostare una degnissima battaglia civile, ma una vera e propria dittatura. Una dittatura occhiuta, ossessiva, ortoressica, scomunicante. La dittatura delle minoranze.
E quando negli scorsi anni si è visto questo fenomeno, sbocciato dalle élite culturali americane e poi dilagato in tutto il meglio sinistrismo terrazzista, salottista intellettualoide europeo e italiano, archiviare via via tutti i problemi economici e sociali delle masse per concentrarsi solo e soltanto sui diritti - ripetiamo, sacrosanti! – delle minoranze, ecco, in quel momento abbiamo capito che sarebbe finita male. L’ideologia del bene, del meglio, delle cose “giuste” da dire ha preso una deriva illogica, regressiva, dissennata. Abbattere la statua di Cristoforo Colombo – ma anche di Abramo Lincoln! - perché schiavista, pretendere che Biancaneve sia di colore e senza nani perché altrimenti è apologia razzista, bollare il principe azzurro come maschilista e potenziale stupratore visto che bacia senza consenso, bandire dalle università e dai licei decine e decine di classici della letteratura, da Shakesperare a Euripide, da Eschilo a Ovidio, perché non consoni ai canoni di “correttezza morale” del nuovo millennio, sono solo alcune delle assurdità che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Sintetizzate nella scena iniziale dell’intelligentissimo film “American fiction” nel quale un professore di letteratura - di colore - viene contestato dagli studenti perché ha dedicato un corso a un racconto, peraltro straordinario, di Flannery O’Connor intitolato “Il negro artificiale” e nel contempo viene emarginato dalla sua casa editrice perché i suoi saggi non sono abbastanza “neri”. Una commedia amara e spassosissima che dà la cifra del cretinismo universale che spopola in Occidente e che ha trasformato la sinistra, o almeno un gran pezzo di sinistra, da partito politico sociale a partito radicale di massa. Segnandone la fine.
E inesorabilmente, a cretinismo, cretinismo e mezzo. A questa deriva demenziale non poteva che contrapporsene un’altra altrettanto demenziale, e forse anche di più. Un’altra ideologia, un’altra censura, un’altra Controriforma sintetizzata nella retorica insopportabile dell’uomo bianco abbandonato, che non conta niente, che è schifato da tutti, che è fuori dai processi produttivi e digitali, che non sa nulla e nulla capisce e che quindi alla fine si infuria e vota per il masaniello brutto, sporco e cattivo. E bugiardo. E demagogo. E se fino a qui tante di queste frustrazioni sono vere e giustificate, il dramma (o la farsa?) è che non si è costruita un’altra piattaforma culturale e intellettuale per combattere il delirio woke. Al contrario, si è scelto di emarginare la cultura, che invece è la madre di tutte le cose, ed esaltare l’ignorantismo, l’analfabetismo, il buzzurrismo, il capronismo, l’asinismo, la sbracatura da osteria, da vineria, da fiaschetteria, la retorica fanghigliosa dell’uomo della strada, dell’uomo qualunque, del popolo bue che ha sempre e comunque ragione, con la conseguente compressione dei diritti civili e un ritorno a una mentalità da Ottocento (la politica dei dazi, in soldoni, non è quella roba lì?), come questi giorni stanno ampiamente dimostrando.
La vittima di queste due follie ridicole e grottesche è di certo il buon senso, ma soprattutto, come si diceva all’inizio, la libertà, la libertà dell’individuo. La stupidità universale, che da destra e da sinistra cancella i libri, le canzoni, i diritti, la storia, la ricerca e che cerca di mettere tutto sotto il tallone totalitario del pensiero unico, quale che sia, è il vero male di questa stagione disperata e disperante. Non c’è mai stato un periodo storico così ideologico e ideologizzante dopo la caduta delle ideologie, mai uno così ottuso, ignorante e arrogante, con il suo sragionare per tesi, per schemi, per postulati.
Diciamoci la verità: essere individui è troppo nobile, troppo rischioso, troppo impegnativo. Non è meglio trovare riparo nella mandria dei pecoroni, spegnere il cervello e far decidere agli altri al posto nostro?
@DiegoMinonzio
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