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Visto e considerato che il grottesco è l’unica vera chiave di lettura dei nostri giorni, la devastante rissa in mondovisione tra Trump e Zelensky ci ha regalato uno spassoso siparietto probabilmente sfuggito ai più.
Un episodio minore - il diavolo sta nel particolare - che attiene molto poco alla tragedia della guerra, al pericolo nucleare, al perturbamento provocato dalla caduta dell’ordine mondiale a cui eravamo abituati, alla sparizione del paradigma liberal-social-democratico che ha segnato le nostre generazioni e che invece rimanda alla farsa, all’avanspettacolo, al ridicolo, al comico. Al grottesco, appunto. Una via di mezzo tra Gogol’, Fantozzi e Alberto Sordi, per dirla in maniera plastica.
E qui entra in gioco Brian Glenn, un eroe del nostro tempo. Questo personaggio, fino a ieri un emerito sconosciuto e ora destinato a diventare una star dell’intero globo terracqueo, è un giornalista (?) di ultradestra, conduttore del podcast “Real America’s Voice”, punta di diamante della galassia mediatica trumpiana con quasi due milioni di abbonati su Youtube. Uno che si definisce, ovviamente, uomo del popolo che fa informazione per il popolo - un popolo da divezzare - che allestisce programmi live anche di otto ore sugli eventi di Trump (altro che le maratone di Mentana), che supporta il muscolare mondo “Maga” eccetera eccetera. Ma fin qui, sostanzialmente, chissenefrega.
Il vero tema, il vero cuore di tenebra del fantozzismo umano antropologico e planetario è che nel bel mezzo della lite davvero impressionante tra il presidente dell’Ucraina e il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti - che forse era un’imboscata dove uno lo teneva e l’altro lo menava e nella quale però Zelensky replicava punto su punto e non c’è nulla al mondo che faccia imbestialire di più il vecchio palazzinaro e il giovane invasato di uno che gli risponda a tono, ma forse era anche tutta una messinscena dove ognuno recitava la sua parte in commedia, ma forse era uno spezzone di film dei fratelli Coen, dove l’arroganza, l’ottusità e la stupidità la fanno da padrone – si è esibito nel più classico dei calci dell’asino. Cioè quando non il potente, ma il servo del potente, il giullare, il lacchè, il leccapiedi, lo sguattero, il pupazzo, insomma, il Giornalista di Palazzo, infierisce sul più debole che non è in grado di difendersi.
“Perché non indossi un completo? – ha intimato irridente Glenn a Zelensky – Ti trovi nell’ufficio più importante di questo Paese e ti rifiuti di indossarne uno. Possiedi un completo?” e un secondo dopo sono partite le risate di tutti i presenti, Trump e Vance in testa, e le sghignazzate e i colpi di gomito e gli ammicchi e le strizzate d’occhi e tutti a spassarsela e a godersela e a fare festa. Come se fossimo al circo o allo zoo. E’ mancato un attimo che il vicepresidente, dall’alto della sua simpatia contagiosa, gli tirasse pure le noccioline. Ma non a Zelensky. A Brian Glenn, come premio per la sua esibizione da scimmia ammaestrata. Anche perché tutti sanno benissimo il motivo per cui da tre anni il presidente ucraino si veste in quel modo e ci sarebbero anche diverse cose da dire sul concetto di eleganza dei capoccioni americani, che in quanto a moda, stile, cucina e un bel mucchietto di altri argomenti farebbero meglio a starsene zitti.
Una scena da piangere. Una scena da ridere. Una scena da sbellicarsi dalle risate. Perché, in fondo, a pensarci bene, degli esseri umani non resta altro che ridere. Ora, va bene che Glenn lavora nel media che aveva accusato un giornalista italiano di essere l’attentatore di Trump durante la campagna elettorale - giusto per dire il livello – e va anche bene che è fidanzato con un’altra giornalista ultratrumpiana, Marjorie Taylor Greene, già nota alle cronache per il suo indefesso sostegno alle teorie di QAnon, formidabile propagatrice di fake news sulla pandemia che la fecero mettere al bando da Twitter (però ora ovviamente riabilitata da Musk) e tutto il resto del notevole materiale circense che ne definisce il profilo. Ma nell’atteggiamento di Glenn, e in quella domanda del tutto fuori contesto, del tutto surreale e, quindi, assolutamente concordata con il capo, che infatti già all’ingresso di Zelensky alla Casa Bianca aveva motteggiato con la consueta classe sul suo vestito, c’è una tale profondità del concetto di servilismo, servilismo assoluto, servilismo in purezza, da diventare antropologica, metaforica, metafisica.
Ed è esattamente quello manifestato nei racconti di Gogol’ e da tutti i colleghi d’ufficio, Filini e Calboni in testa, durante la partita a stecca tra Fantozzi e il megadirettore On. Cav. Conte Diego Catellani (“chi non scatta niente scatti: ve lo dice uno che arriva dalla gavetta e che si è fatto un mazzo così!”), che continua a insultare il malcapitato Inferiore (“buffone” “cretino” e, soprattutto, “coglionazzo”) tra gli applausi, le risate e gli inchini degli altri Inferiori come lui, che non possono far altro, anzi, non vogliono far altro, non vedono l’ora di mettersi in mostra con il megadirettore sbertucciando uno identico a loro e pur sapendo che prima o poi gli capiterà lo stesso destino. Che pedagogia.
Ma di certo non si possono caricare addosso a questo sedicente giornalista tutte le colpe del mondo, perché solo a ricordare certe conferenze stampa di Mario Monti (quando era il salvatore della patria) e di Mario Draghi (quando era il salvatore della patria) o plurime interviste in ginocchio a Berlusconi o ad Agnelli o a Craxi o chi volete voi abbiamo assistito a certi sdraiamenti, a certi sdilinquimenti, a certi srotolamenti di lingua da parte dei meglio giornalisti del bigoncio nazionale che in confronto Brian Glenn sembra Indro Montanelli alla guerra di Finlandia.
Povero Akakij Akakievic. Povero Fantozzi. Povero Zelensky. Per loro va sempre a finire male. Con qualche piccola, per quanto illusoria, vendetta, però. Sappiamo bene cosa succede al megadirettore Catellani dopo il ventottesimo “coglionazzo”...
@DiegoMinonzio
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