In uno sforzo di onestà dovremmo tutti ammettere, a parziale bilancio delle nostre vite, che siamo arrivati al presente lasciando dietro di noi, come tante lumache, una lunga scia di castronerie. È inevitabile: siamo individui che hanno della realtà una visione soggettiva, parziale e condizionata da mille fattori. Tra questi: capacità cognitive limitate, cultura comunque circoscritta, emozioni fuori controllo e una psiche largamente inesplorata che continuamente agisce sulla parte razionale della nostra mente. Con questi strumenti a dir poco inaffidabili vaghiamo per una realtà complessa e mutevole, cercando a ogni passo di misurarla, ovvero di farne un dato oggettivo, certo, archiviabile e, pertanto, rassicurante.
Questo procedere per misurazioni inattendibili si chiama farsi delle opinioni. Un’operazione che non dovremmo aver difficoltà a riconoscere per difficoltosa e destinata a produrre risultati discutibili. E invece accade una cosa sorprendente: ci aggrappiamo alle opinioni come fossero pinnacoli inamovibili. Ripensarle, è considerato una dimostrazione di debolezza, di scarsa virilità intellettuale. Ci appelliamo piuttosto alla Coerenza, con la C maiuscola, senza capire quanto essa sia il più delle volte un alibi alla nostra pochezza intellettiva.
Tanto più che le opinioni sulle quali facciamo leva molto spesso non sono neppure nostre. Da buoni clienti della civiltà dello scaffale, prendiamo per buone quelle preconfezionate, sigillate e pronte all’uso che troviamo continuamente in offerta speciale al gran supermercato dell’informazione. Televisione, giornali, social: tutti esibiscono il loro prodottino a lunga scadenza. E noi giù a comprare, più o meno a scatola chiusa, come un tempo si faceva solo con Arrigoni: “Travaglio sì che gliele canta!”, “Hai sentito Giordano?”, “E Giletti? Hai visto l’ultima puntata?”, “No, io seguo solo la Gabanelli”, “Ma Sgarbi? Quanto urla Sgarbi?” Avanti così: c’è chi si affida al guru americano, chi al mistico orientale e chi allo scienziato eretico fino al punto di sprofondare nella palude delle Grandi Cospirazioni, dove è possibile collegare tutto al contrario di tutto, il 5G al virus, il virus al riscaldamento globale, quest’ultimo alle scie chimiche e il pacchetto completo, naturalmente, a Soros, agli ebrei e ai Poteri Forti.
Così è andata fino a oggi e non c’è ragione di pensare che in futuro andrà diversamente, senonché il maledetto virus offre oggi un’occasione irripetibile. L’emergenza scatenata dalla pandemia ha provocato e smentito, in brevissimo tempo, un tale numero di castronerie, vendute al momento come certezze inattaccabili e subito sbugiardate dalla realtà dei fatti, da metterci di fronte all’evidenza: le opinioni valgono poco o nulla. Anzi, il loro valore può essere apprezzato solo considerandole per quel che sono: ipotesi al buio su una realtà che, una volta parzialmente svelata, scopriremo molto complessa e impossibile da circoscrivere in pochi, stentorei concetti.
La potenziale tragedia innescata dall’equivoco, dallo scambiare cioè le opinioni per verità, è oggi sotto gli occhi di tutti: basta fare un rewind di pochi giorni per comprendere quanto opinionisti, politici, intellettuali e perfino scienziati abbiano preso abbagli clamorosi. Basterà questo a indurci alla prudenza? Basterà a eliminare quel sovraccarico di faziosità che, ogni giorno, leggiamo nei social, quando, accanto a qualche trombonata estratta da un talk show, leggiamo che il tale “umilia” talaltro e che Tizio “asfalta” Sempronio? A uscire umiliate e asfaltate, da tanta stolidità, non è altro che la nostra intelligenza, già contenuta, come abbiamo visto, in limiti lampanti.
Ne “La filosofia dai greci al nostro tempo”, il compianto Emanuele Severino, riguardo al pensiero di Platone, scriveva: “La verità, come sapere incontrovertibile, cioè come scienza, è conoscenza dell’idea, ossia dell’essere immutabile, dell’essere che è assolutamente. I più, invece, non conoscono altro che il mondo sensibile: ignorano il bello in sé, il buono in sé e tutte le altre idee, e sanno soltanto di cose belle, di cose buone, di cose grandi; conoscono soltanto le immagini dei veri esseri, senza sapere che sono immagini, e quindi vivono come in un sogno, perché sognare è appunto ritenere che delle immagini siano realtà vere. Insieme a Parmenide, Platone chiama opinione (doxa) questo sogno in cui consiste la conoscenza comune del mondo sensibile”.
Le opinioni, dunque, non sono altro che un sogno, una visione nella quale intuire, ben che vada, qualche aspetto della realtà. Permettere loro di travalicare questo limite è un errore che oggi sappiamo tragico. Questo non deve portarci a un altro errore, quello di disprezzare le opinioni, primo passo verso la censura e il totalitarismo. Più libere sono, invece, meglio è: occorre però ricordare che, nel migliore dei casi, sono nobili tentativi di svelare per un istante la realtà, come fa una scintilla nelle tenebre, e, nel peggiore, sordide manipolazioni per cercare di occultarla.
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