Il virus ha colpito
la nostra mente

Uscire o non uscire, solo per imprescindibili necessità extra lavorative, è chiaro: questo è il dilemma. Dopo le ultime disposizioni anche Amleto, al posto del teschio, palleggerebbe con un’autocertificazione. Il consiglio è comunque quello di restare in casa il più possibile perché, in ogni caso, il coronavirus se, com’è auspicabile, non ha ancora preso il vostro corpo, di certo ha avuto la vostra mente. E se siete distratti e decidete comunque di varcare la soglia di casa perché avete necessità di spesa alimentare e altre esigenze, gli effetti collaterali possono essere devastanti. Oltretutto ci si mettono anche il cielo assassino di questi giorni pre primaverili, azzurro come mai anche grazie alla carenza di smog dovuta al traffico cittadino “slim”, e questo tepore che si augura alleato nella dura guerra contro il nemico subdolo, pugnace e invisibile.

La prima cosa che si nota è che i pochi avventurosi in cui ci imbatte, hanno alla fine acquisito quella consapevolezza auspicata dalle autorità. E ti scansano neanche fossi un monatto reduce da un lazzaretto del ‘600. Chiaro che ti adegui subito. Ma quando sei sul marciapiede stretto va in onda una sorta di “Sfida all’Ok Corral” o un Fantozzi contro il famigerato cameriere che lo costringe a tuffarsi nella polenta in una delle scene più esilaranti della serie. Che fare per mantenere il canonico e salvifico metro dal prossimo tuo? L’unica, se non lo fa lui, è gettarsi dal marciapiede. Però, un po’ perché sei distratto dalla manovra, un po’ perché la scarsità di auto in circolazione incentiva i pochi guidatori a lanciarsi a velocità che lambiscono il limite massimo consentito in città, rischi l’arrotamento. Francamente, presentarsi di questi tempi in ospedale con un arto fratturato, è sconsigliabile. Normale e giusto ti lascino in attesa, solo, con il tuo dolore retrocesso nella serie B della sanità.

Comunque, dopo questa gimkana, sei arrivato al primo traguardo della tua perigliosa e angosciosa camminata: il bancomat. Ed ecco che di tre sportelli, uno è occupato. Quello più vicino alla persona che sta prelevando è a meno di un metro. Allora ti butti sul terzo, che però ti avvisa di aver terminato le scorte di valsente. Aspetti che il tizio completi l’operazione e manovri la tastiera dell’altro macchinario libero. E ti assale subito l’angoscia. Chi avrà pigiato i bottoni prima di me? E se aveva il coronavirus? E se il virus malefico è rimasto e adesso si è trasferito da me? Schiacciato da questi pensieri cupi ti dimentichi di ritirare la tessera che viene ingoiata dal bancomat. Ma lo realizzerai solo molto tempo dopo. Perché adesso la tua mente lavora full time per cercare di salvarti dal contagio. Dovresti quantomeno disinfettare le mani che si sono posate su quella tastiera potenzialmente letale. Ma l’amuchina da asporto ormai è introvabile. Ce l’hanno solo quelli che la usavano anche prima e tu guardavi con un certo compatimento: “ma pensa ‘sti fanatici”. Che nel frattempo hanno fatto incetta di flaconcini, forse c’è un mercato nero in cui li vendono. E tu intanto lì, forse con il virus che si stiracchia sul tuo dito indice. Ma niente panico. Basta non toccarsi la bocca, il naso e la faccia. Appena hai maturato questo pensiero ecco ti assale un prurito improvviso sotto gli occhi, è insopportabile, ma tu resisti. Però, se il virus camminasse e risalisse dal braccio, alle spalle, al collo fino a centrare l’obiettivo delle vie respiratorie e poi esplodere come un kamikaze giapponese nella Seconda guerra mondiale? Che fare? Il tempo stringe. Idea: una fontanella pubblica. Magari un bel getto d’acqua la farà annegare o se lo porterà via. Purtroppo però vivi in un comune ad alto tasso di inefficienza. La fontanella non butta . E allora? Altra illuminazione. Basta, qui l’unica è filare a casa e immergersi nel disinfettante. Già ma c’è la spesa. L’ingresso al supermercato è controllato. Si sta in coda per attendere di entrare quando qualcuno esce. Tenti di mantenere le distanze con gli altri clienti. Vicino ci sono due anziani che parlottano fra loro e con malcelato soddisfazione si dicono che il virus, alla fine, colpisce molte persone dai 50 ai 65 anni. La tua fascia di età. Sembra che ti guardino come un più che potenziale obiettivo. Intanto arriva il tuo turno. Munito di guanti fai la spesa alla velocità della luce, dribblando gli astanti che tentano di fare lo stesso con te. Sembra il Brasile di Pelè del 1970. Finalmente raggiungi casa. Controlli la spesa e ti accorgi che, nella fretta, ti sei dimenticato metà delle cose che dovevi comprare. Con la morte nel cuore, ripercorri la strada del supermarket. Ripeti la trafila, per fortuna senza i vecchietti menagramo. Ce l’hai fatta e per dimostrare che non hai affanno respiratorio prendi le scale di corsa e così ti viene l’affanno respiratorio. Ma vale davvero la pena di uscire di casa ai tempi del coronavirus? In fondo dei soldi che hai prelevato al bancomat che te ne fai? Ti vanno tutti in medicine , perché al giornale sei abbonato e tra i pochi altri punti vendita aperti ci sono le farmacia. E la spesa si può fare anche on line, sia pure con crescente fatica perché c’è la coda anche l’. Ma non rimanere a casa, oltre ad aumentare il rischio di contagio, fa allungare la “quarantena”. Allora meglio sacrificarsi oggi per rinascere domani, il prima possibile.

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