Il voto analogico nell’era digitale

Dietro il buon risultato del centrosinistra alle regionali in Emilia Romagna e in Umbria c’è sempre il solito spettro che si aggira per le elezioni: l’astensionismo. Che è stato particolarmente alto nel territorio culla della sinistra, dove si è recata ai seggi meno della metà degli aventi diritto, tanto da amareggiare Romano Prodi. Strumentalizzare questo aspetto, come ha fatto qualche esponente del centrodestra, è ridicolo. Perché la tendenza ormai è consolidata e si è manifestata anche nelle consultazioni che hanno premiato l’attuale coalizione di governo. Con ogni probabilità, peraltro, non si tornerà mai più ai tempi in cui votava l’80% della popolazione.

Le cause sono note. C’è una fascia ampia del corpo sociale che non si riconosce più in chi dovrebbe rappresentarla, anche a causa dell’evidente inadeguatezza dei candidati. Un elemento che vale in ogni ambito della nostra politica. Ci sono poi coloro che, dopo la fine delle ideologie e il ridimensionamento del voto di appartenenza sono volati come una farfalla di fiore in fiore, inseguendo sempre il “nuovo”. Ogni volta hanno sperato che chi sceglievano fosse meglio di quelli che lo avevano deluso, salvo poi scoprire che non era così.

Si tratta, ce lo dicono le analisi dei flussi di questi anni, di una fascia non irrilevante dal punto di vista numerico ed equivalente a circa il 20% dell’elettorato. A ogni passaggio verso ciò che sembra più nuovo e migliore, qualcuno rimane ai box. E tutto fa pensare che la tendenza non sia destinata ad arrestarsi. Prima o poi ci sarà chi si porrà la domanda sulla legittimità di istituzioni scelte da una minoranza sempre più ristretta di cittadini, dando così il colpo di grazia alla democrazia.

Tra le ricette per evitare questa deriva c’è quella di Carlo Calenda: accorpare tutte le elezioni e i referendum (destinati a proliferare con la raccolta elettronica delle firme), anche in modo da evitare che i rappresentanti delle istituzioni non passino gran parte del loro tempo in campagna elettorale e possano occuparsi delle faccende per cui sono stati votati sia pure da pochi. Ma forse si potrebbe anche ragionare sulle modalità del voto, identiche a quelle di 80 anni fa, in un’epoca ultra analogica. In tempi di digitale globale, magari, soprattutto per le generazioni più giovani, l’idea di recarsi al seggio per utilizzare uno strumento, la matita, che forse non è più neppure un ricordo del ciclo scolastico, potrebbe apparire davvero poco attrattiva.

Visto che la politica si fa in buona parte sui social, sarebbe forse il caso di valutare la possibilità di modernizzare le modalità di voto. Poi, certo, ci vorrebbe una maggiore preparazione e credibilità del ceto politico tale da convincere i cittadini a fidarsi e non viceversa.

Chi, in questo periodo, è andato al cinema per vedere il film “La grande ambizione” incentrato sulla figura di Enrico Berlinguer, uno dei più importanti esponenti della storia del Partito comunista italiano (la principale forza comunista dell’Occidente), al di là dell’agiografia e di una visione di parte, può forse comprendere ciò di cui stiamo parlando. Non a caso, a un certo punto del racconto cinematografico, si vedono le code ai seggi elettorali.

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