Parlando di cultura a Como, vale la pena di scomodare Galileo e la sua più famosa frase (che non ha mai detto, ma gli fu “messa in bocca” dal critico Giuseppe Baretti oltre un secolo dopo): «Eppur si move». Così lentamente, è vero, che magari uno sguardo superficiale nemmeno nota il movimento, e, tuttavia, per la prima volta, anche con una coralità sufficientemente ampia per azzardarci a porre alla collettività, di cui tutti siamo parte, con responsabilità diverse, un obiettivo ambizioso: ricandidarci come capitale italiana della cultura per il 2027, l’anno del bicentenario della morte di Volta, a un secolo dall’ultimo grande evento culturale che coinvolse tutta la città con riscontri ampi e duraturi, il suo centenario (Volta non sarà popolare come Leonardo, ma nella toponomastica italiana lo batte: 1662 vie e piazze contro 1611).
Un’idea da matti o sognatori? Potrebbe sembrare tale, mentre si attendono, a giorni, i lavori al Tempio Voltiano, il cui primo piano è chiuso dal 2014, quelli per adeguare il Museo civico alle norme antincendio e recuperare nuovi spazi per le monete romane e un bookshop, senza dimenticare l’atteso cantiere per gli interni di Villa Olmo. Se vogliamo dirla tutta, inquieta anche l’immobilità del sito del più longevo festival cittadino, ParoLario, che quest’anno dovrebbe festeggiare il ventennale: mancano ancora le date, mentre le altre grandi kermesse che aprirono la stagione dei festival letterari a fine anni ’90 (Mantova e Pordenonelegge) le hanno pubblicate da mesi e hanno avviato il percorso di avvicinamento che coinvolge le rispettive città.
Tutto questo è vero e chiede attenzione, ma finalmente anche Como comincia a fare sistema intorno alla cultura. Ed è proprio la capacità di fare sistema quella che è sempre mancata, mentre dal basso nascevano tante iniziative meritorie (dalle stagioni del Sociale sempre più ampie e inclusive alla dozzina di festival). Come accaduto con l’appello a portare a Como il teschio di Plinio, il cui ritrovamento nel 2017 aveva fatto parlare il mondo (cosa avvenuta lo scorso novembre con la mostra al Broletto), non è caduto nel vuoto nemmeno quello a costituire un Parco Letterario, come primo atto forte per creare una narrazione e una gestione condivisa di itinerari e punti di interesse per raccontare al mondo il genius loci del nostro territorio (che vanta l’autore della prima enciclopedia della storia, il creatore del primo museo, l’inventore della pila e quello della “Città nuova”... ormai i loro nomi dovreste saperli).
Il percorso iniziato il 14 aprile 2018 con un editoriale come questo, accompagnato dal piccolo atto concreto della passeggiata “Sulle orme di Plinio” nell’ambito del Festival del nostro quotidiano “Le Primavere”, sta per dare un risultato: il 5 marzo (anniversario voltiano) verrà istituito il Parco Letterario “Da Plinio a Volta. Viaggio nelle scienze umane”, 28° di una rete europa, ideato da chi scrive, promosso da Fondazione Alessandro Volta e dall’associazione Sentiero dei Sogni, con 8 Comuni e 13 tra sodalizi e scuole che hanno già aderito e molti altri che hanno manifestato l’intenzione di farlo durante un partecipatissimo incontro di condivisione che si è tenuto venerdì scorso a Villa del Grumello. Sala gremita anche per la successiva riunione finalizzata a dare concretezza alle celebrazioni per il bimillenario della nascita di Plinio il Vecchio, per le quali aveva opportunamente suonato la sveglia Accademia Pliniana con cinque anni di anticipo.
Questo processo è stato favorito da un importante catalizzatore, il Pic (Piano integrato della cultura), che nel corso del 2019 ha visto, faticosamente come tutte le prime volte, confrontarsi e coprogettare amministrazioni e operatori culturali, sotto l’egida di Camera di Commercio coadiuvata da Fondazione Volta e Comonext: a novembre si è centrato il primo risultato di presentarsi a un bando regionale non più in ordine sparso, ma con 63 partner racconti attorno a 26 azioni territoriali e 6 di sistema. Nonché con un tema comune per i prossimi due anni: “Grand tour 3.0”, per valorizzare, in occasione di importanti ricorrenze, l’eredità lasciata dalla precedente epoca d’oro del Lario (il +25,8% di turisti in provincia e 53,4% sul capoluogo tra 2014 e 2018 ci dice che potremmo essere all’inizio di un’altra e sta a noi gestirla).
Prendendoci l’impegno a ricandidarci a capitale della cultura per il 2027, potremo dimostrare di avere imparato dalla sconfitta del 2015, quando sinergie e visioni erano carenti (e anche da quella che ci ha da poco inflitto l’Unesco come città creativa).
Per centrare l’obiettivo, però, non basta smettere di lamentare che “a Como non succede niente” e che “ognuno pensa al suo orticello”, ma anche di sostenere che “non ci sono soldi”. Ci sono: basti pensare al milione e rotti di euro annui di tassa di soggiorno incassati dal solo capoluogo, per non parlare del mecenatismo privato, che già sostiene la più luccicante kermesse natalizia dello Stivale, e delle risorse che si potrebbero recuperare dai bandi europei. Bisogna investirli (anche) in cultura. Perché? Ma perchè fa bene all’anima e anche al portafogli. Con la cultura di mangia: per ogni euro investito ne ritornano 2,65 (secondo un’indagine realizzato lo scorso anno da Rsm-Makno per Impresa Cultura Italia-Confcommercio).
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