Adesso, certo, non sarà più così. Ma chi ha fatto il servizio militare, all’epoca obbligatorio, qualche lustro fa magari ricorderà il “protocollo” (come si dice adesso) per gestire un eventuale attacco nucleare: una coperta di materiale misterioso con la quale ripararsi. Oppure i tanti fan del mitico “Amici Miei” di Monicelli ricorderanno il conte Mascetti-Ugo Tognazzi che, durante l’alluvione del 1966 a Firenze, rassicura: “Siamo su un dosso, qui l’acqua non può arrivare”, salvo essere subito dopo inondato.
L’impressione o il timore che in questa Fase 2, ponte, si spera e agguantando tutto quanto abbiamo intorno di metallico, verso la 3, quella del ritorno alla totale normalità, a Como si sia rimasti alle coperte anti atomiche e alle vane speranze nei rilievi del terreno. Insomma, si è fatto il minimo indispensabile e non è dato sapere se si farà quello che occorre per la “vita nuova” che ci aspetta e resterà a lungo condizionata dal virus o da suoi congiunti anche se il Covid magari, e riecco gli aggeggi metallici da accarezzare, non ci sarà più. Finora se n’è solo parlato non certo in maniera esaustiva, in Consiglio comunale e sulle colonne del vostro quotidiano che si è permesso di avanzare qualche proposta di facile e immediata realizzazione, peraltro anche frutto dell’ingegno di menti certo non sospettabili di faziosità quali l’architetto Giuseppe Cosenza e l’ingegner Tino Tajana, che questa città la conoscono forse più delle loro tasche. Come e se sono stati accolti dall’amministrazione questi suggerimenti non è dato sapere. L’emergenza economica si sta affrontando, bene o male, anche in virtù dell’apporto dei privati, in testa le parrocchie cittadine, per quella sociale qualcosina è stato fatto, solo l’inizio. Resta in piedi il nodo di ridisegnare la città per affrontare il futuro. Qualcosa che altrove si sta facendo e programmando, qui no. Sarà ed è banale, e pure lontano dai massimi sistemi che pure occorre chiamare in servizio, ma gli spazi della Città Murata lasciati com’erano non vanno bene. Bastava farsi un giro, un paio di vasche, ieri mattina, primo sabato della Fase 2 punto 0 con i negozi e i locali aperti. Troppa gente, la solita peraltro con l’esclusione degli svizzeri e dei turisti stranieri, che bastava però a far vedere come fosse impossibile, in molti punti, rispettare il distanziamento sociale di un metro previsto dalle norme. Le vie del centro sono quelle che sono, visto che allargarle non è possibile, almeno si introducano i sensi unici. Lo ha fatto Bergamo con una delle strade della Città Alta (nell’immagine qui sopra) dopo la foto choc di domenica scorsa con gli assembramenti dei gitanti, non dissimile da tante immagini viste e che si vedranno (meteo permettendo) anche da noi nei prossimi fine settimana d’estate.
Se neppure si interviene sulle questioni spicciole, figuriamoci quando si tratta di mettere mano alla mobilità, nodo più che scorsorio per una città come la nostra, dove se chiudi una strada crei un tappo che blocca tutto. Oppure non si può più pensare agli intasamenti consueti degli ultimi inverni. E l’unica soluzione possibile e immediata appare quella di far entrare meno veicoli possibili in convalle con interventi tampone, tra cui il car pooling regolamentato, la prosecuzione ove possibile dello smart working e l’incentivo all’utilizzo dei velocipedi a pedalata assistita. Nell’attesa dell’agognato secondo lotto della tangenziale di Como che, meglio ribadirlo, con qualunque tracciato si voglia, ora è più che mai una priorità, di un ridisegno delle funzioni pubbliche da decentrare, di un ripensamento del servizio pubblico sull’asse ferroviario e della navigazione. L’epilogo di un intervento di ampissimo respiro potrebbe essere quello di fermare il traffico veicolare agli ingressi del territorio comunale, con la realizzazione di appositi autosili e incanalare i flussi delle persone sulla rete ferroviaria reinventata come metropolitana con treni navetta in grado di raggiungere la convalle. Progetti che, peraltro, in linea di massima esistono già. Basterebbe tirarli fuori dai cassetti e impegnarsi poi nella sfida più ardua, quella del reperimento delle risorse, compito della politica. In caso contrario se il virus, quando se ne sarà andato, tornasse con velleità bellicose troverebbe difese più aperte di una squadra di Zeman.
Nell’attesa, chiudiamo pure il libro dei sogni e attendiamo di capire cosa ci proporrà la “governance” di questa città, ammesso che ve ne sia una. Ma questo è un altro problema e già ne abbiamo elencati troppi.
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