
“Firenze, lo sai, non è servita a cambiarlo”, si potrebbe parafrasare Ivan Graziani.
Il soggetto, naturalmente, è Matteo Salvini, che, peraltro, non aveva alcuna intenzione di modificare la rotta impressa al Carroccio. Con il congresso conclusosi ieri , in cui è stato rieletto segretario, unico candidato in campo,si può dire che il movimento sia ormai definitivamente ancorato nel porto della destra sovranista, gettando a mare la vecchia Lega Nord.
Niente di nuovo sotto il sole di Firenze, certo. Ma i congressi, da sempre, servono a incoronare il leader e definire la linea del partito. Ebbene, da qui al 2029, passando per le prossime elezioni politiche e per quella che designerà il successore di Mattarella al Quirinale, questa sarà la rotta del movimento che ambisce a tornare a essere la prima forza del centrodestra.
Un primo avvertimento lanciato a Giorgia Meloni, al termine di un congresso celebrato, per la prima volta, fuori dai confini dell’immaginaria Padania. L’altro messaggio è arrivato con la richiesta, già rimandata al mittente, di riportare il “Capitano” al ministero dell’Interno. A spegnere la proposta è stata Forza Italia, tramite il portavoce nazionale Raffaele Nervi, che ha dichiarato come Matteo Piantedosi stia bene dov’è. E se proprio lo si vuole sostituire, servirà un rimpasto di governo: parola “rimpasto” che provoca reazioni allergiche a Meloni.
Dal congresso esce una Lega nazionale che, pur riaffermando la sua vocazione governativa, resta anche movimentista e di lotta. Soprattutto, a quanto pare, contro gli alleati: sia sul fronte della politica estera, sia, novità relativa, ma non trascurabile, su quello delle poltrone.
Il congresso ha suggellato il definitivo collocamento a destra degli ex “lumbard”, in alcuni casi ancor più a destra di Fratelli d’Italia.
L’iscrizione del generale Roberto Vannacci , destinato, sembra, alla nomina di vice segretario, ne è una prova. Così come la visita precongressuale di Salvini a Umberto Bossi, che certifica i titoli di coda per quello che fu il “sindacato del Nord”, nonostante il tentativo del segretario lombardo Massimiliano Romeo, al congresso regionale, di invocare un “ritorno alle origini”.
Le parole d’ordine dei congressi bossiani: secessione, devolution, federalismo, oggi sono scomparse, salvo un accenno alla “Carta di Chivasso” da parte di Salvini, in relazione al 25 aprile. A soppiantarle sono stati gli slogan sovranisti. I riferimenti internazionali di un tempo: dagli indipendentisti scozzesi al leader autnomista catalano, Jordi Pujol, hanno lasciato il posto a Elon Musk e Marine Le Pen.
Insomma è una Lega che ha completato la mutazione, levandosi gli ultimi lembi di pelle della vecchia identità nordista. E si prepara, con Salvini saldo al timone, nonostante mugugni e trame rimasti nei corridoi della location fiorentina, a rilanciare con ancora più vigore la sua battaglia contro l’Europa e le sue politiche.
Come questa linea potrà conciliarsi con gli alleati di governo è il vero nodo. Meloni continua a barcamerarsi tra Washington e Bruxelles, Tajani resta ancorato al Ppe europeista, e Forza Italia ha votato come il Pd sul piano per il riarmo. La Lega allo stesso modo dei 5 Stelle, sabato in piazza, per la pace.
Ora per la premier si apre la grana del Viminale. Giorgia Meloni pare intenzionata a blindare Piantedosi, così come a essere il principale interlocutore governativo con gli Stati Uniti. Non a caso, ha risposto in anticipo al “colpo” di Elon Musk al congresso leghista fissando una prossima visita a Donald Trump.
Si annunciano tempi agitati nella politica italiana. Su tutti i fronti.
@angelini_f
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