Il Pd è sempre il Pd, figuriamoci se Elly Schlein poteva cambiarlo. Per carità, la neo segretaria è appena agli inizi e si sta muovendo quantomeno con la grinta di chi ha la mission di fare opposizione.
E il partito incassa, nei sondaggi, l’effetto novità di cui c’è sempre una gran fame dalle nostre parti. Ma quando si tratta di andare oltre gli slogan tornano fuori, anche se per ora non in maniera aperta, tutte le contraddizioni che nella pancia dei Dem hanno fatto il nido. Sul voto per l’invio di armi all’Ucraina, si traccheggia. Non può dire troppo forte sì, (anche se è inevitabile) per non scoprirsi sul fianco sinistro e ridare ossigeno ai Cinque Stelle di Giuseppe Conte (a cui non è sembrato vero ieri alla Camera entrare a piedi uniti contro il provvedimento), i primi danneggiati dalla nuova leader. Ma neppure opporsi per non crearsi difficoltà dall’altra parte e sconfessare la storica linea filo occidentale ed europeista. E non è un caso che a illustrare la (non) posizione sulla faccenda sia stato Lorenzo Guerrini, uno che ha ancora le stimmate renziane. E anche che in fondo, la Lega abbia superato il Pd nel pacifismo.
Nulla di nuovo insomma, così come l’incartamento sui capigruppo parlamentari. Certo Elly ha bisogno di tempo, ma è difficile non notare, direzione alla mano, come il suo anatema contro i “cacicchi” sia stato all’acqua fresca. Il Nazareno resta il luogo dei capi bastone tra cui la nuova leader dovrà imparare a navigare per evitare il rischio del classico effetto “Gattopardo” per cui tutto cambia per non mutare nulla.
Basterà agli elettori? Lo vedremo già tra un paio di mesi alle amministrative e poi alle europee del prossimo anno.
Sullo sfondo resta l’eterna questione di cosa vuol essere il Pd. Sembra che Schlein voglia puntare con decisione la barra a sinistra, in fondo alla fine, i danni interni sembrano limitati: se n’è andato il solo Fioroni, gli altri sono rimasti anche per la ritrosia ad abbandonare comode poltrone e finora sembrano in “sonno”, anche grazie all’ecumenica composizione della direzione. Ma la nuova linea si è subito offuscata sull’Ucraina. Resta il “radicalismo” sulle altre battaglie: salario minimo in primis, con quel profilo movimentista che forse era quello che chiedeva chi ha preferito la segretaria a Bonaccini.
Del resto un’identità chiara del Pd o comunque si voglia chiamare non sarebbe un male, anche a costo di pagare qualche prezzo. Nulla osta, in termini di strategia e una volta marginalizzati i Cinque Stelle, di concordare un’alleanza programmatica con il Terzo Polo di Calenda e Renzi e sfidare così il centrodestra con qualche chance di portare a casa il risultato.
Di certo i dem “né carne né pesce” se pure sono riusciti a galleggiare per anni al governo (ma adesso è finita) hanno pagato un prezzo pesante in termini elettorali nelle due ultime consultazioni, quelle politiche e regionali.
La scommessa di Schlein è quella di riuscire a gestire e placare le anime del partito per affermare e sviluppare la sua linea politica. Se ci riuscirà entrerà nella storia del Pd, in caso contrario finirà nel Pantheon degli illustri, ma falliti predecessori e potrà ripartire quel luna park fatto di primarie e oceanici dibattiti pre congressuali che sembra divertire molto gli inquilini del Nazareno.
Un po’ meno coloro che, alla fine si sono stancati di votarli.
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