C’è quello che, al raduno di Pontida, espone lo striscione su Tajani “scafista”. L’additato trafficante di essere umani sarebbe uno dei due vice presidenti del Consiglio, l’altro è il capo del tipo con lo striscione che poi fa outing “Sono un po’ scemo”. Peccato che sia anche il capogruppo della Lega nel consiglio comunale di Milano. Beh, contenti loro. D’altra parte c’è Vincenzo De Luca, super presidente, ormai elevato al rango di viceré se ci fosse un re in Campania, che in vista della scadenza del secondo mandato e con il suo fedelissimo presidente della provincia di Salerno con problemi giudiziari, annuncia di volersi candidare per il terzo e chi ci sta ci sta. Se ci stia la segretaria del suo partito, il Pd, Elly Schlein è un dettaglio trascurabile. Se ributtiamo la palla nel centrodestra, la raccoglie Guido Crosetto, ministro della Difesa di FdI, a caccia di una talpa del suo partito che avrebbe violato il segreto della corrispondenza. Il partito è quello del ministro Lollobrigida in bermuda al G7 per l’agricoltura, e di Daniela Santanchè che a giorni potrebbe essere rinviata a giudizio, ma non ci pensa nemmeno di lasciare la poltrona, anche se tra i suoi è già partito il toto nomi per la successione. Per carità di patria, potremmo omettere Matteo Salvini che se la prende con il chiodo che avrebbe fermato i treni di tre quarti d’Italia perché ha già le sue con quel generale Vannacci sempre più ingombrante nel Carroccio e forse pronto a sfidarlo al congresso al ritmo di “se avanzo seguitimi…”. Che poi il Capitano non sembra tanto diverso da quello del Papeete e dei pieni poteri per tentare di scalzare Giuseppe Conte (che invece fece la festa a lui) da palazzo Chigi. Il tornante (più che una svolta) impresso al Carroccio, sia pur con il rischio boomerang incarnata dal Vannacci di cui sopra è un chiaro tentativo di succhiare la ruota dei voti al premier Giorgia Meloni, costretta a vestire i panni della moderata di fronte all’Europa e al voto Usa dove è atteso forse un endorsement del leader leghista in favore di Trump.
Niente di più lontano da una Forza Italia che il Tajani di cui sopra, con o senza lo scafo, sta cercando di portare un po’ più a sinistra, sia per compiacere la famiglia Berlusconi (azionista di maggioranza del partito), sia per tentare di salvare la ghirba scongiurando la ventilata discesa in campo di Pier Silvio per inaugurare il primo caso di leadership ereditata. Del resto, ci sono tanti figli di… che hanno successo non calcio. Allora perché non ripetere il tentativo con la politica?
Restando nella metafora di un tennis che non vale neppure il mignolo sinistro di Sinner ributtiamo la palla nell’altro campo, quello largo. Ma finiremmo per scoprire che non cadrà da nessuna parte perché il terreno di un gioco più che proibito, non c’è davvero più, almeno per ora, dopo l’epitaffio di Giuseppe Conte che rischia di costare almeno due regioni (difficile che siano tre perché l’altra è l’Emilia) al centrosinistra. Valgono uno strapuntino alla Rai, fosse pure la direzione del Tg3, orfana di Orfeo (cacafonia voluta) approdato sulla tolda de La Repubblica? Chissà.
Quel che è certo è che la politica italiana, in uno dei periodi più drammatici della storia degli ultimi 80 anni, con due guerre accese e ben lontane dal spegnersi, anzi, sembra, scusateci la volgarità, ma quando ce vo ce vo, una gara di rutti. Miserie senza splendori. Poi dice che uno si butta nell’astensione.
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