LA “RIVIERA”
DI GAZA
MA C’è ANCHE
CHI NON RIDE

Il 20 gennaio 1978, uno sconosciuto tranviere milanese, Piero Diacono, divenne una celebrità nazionale durante una puntata di “Portobello”, iconico programma di intrattenimento di Rai 2 condotto da Enzo Tortora.

In quell’Italia in crisi nera politica, economica e sociale che da lì a poco sarebbe stata devastata dal caso Moro, quel format faceva sfracelli (25 milioni di spettatori a puntata), grazie a una formula semplicissima basata sul mercatino del venerdì, dove tutti compravano e vendevano qualcosa e dove ogni tanto spuntavano inventori mattocchi gestiti con magistrale ironia da quel grande presentatore.

Quella sera Diacono illustrò con tanto di carta geografica e bacchetta la sua equazione per eliminare la nebbia dalla Val Padana, che ai tempi costituiva una sciagura in vite umane e danni alle infrastrutture. Il concetto era semplice: così come per cambiare l’aria in una stanza bisogna aprire una porta e una finestra, allo stesso modo in Italia la porta c’era già - la costa veneta – però mancava la finestra. E c’era un solo punto dove si potesse aprirla, il passo del Turchino: “Basta spianarlo, eliminare tutte quelle curve e abbassarlo fino al livello del mare!”. “E i quattromila residenti?”, chiese perfido Tortora. “Nessun problema, li spostiamo nei Comuni vicini”.

Come facile immaginare, l’uscita di Diacono venne accolta con grande ilarità in studio e fece sghignazzare milioni di italiani, anche se non mancò chi prese sul serio la proposta e istituì dei pensosi tavoli di studio per analizzare la fattibilità del progetto. Immaginate poi le reazioni dalle parti di Ovada, Mele e, soprattutto, Masone. Insomma, un classico esempio di deportazione all’italiana, dal quale Monicelli avrebbe potuto trarre un film con Totò, Peppino e Alberto Sordi.

Bene, se la materia non fosse tragica e incendiaria, questo è l’esempio più calzante, più plastico e più attinente che si può ricondurre al grottesco e onestamente spassosissimo piano di Trump per la striscia di Gaza. Che, in sintesi è questo (un avviso per i meno avvertiti: è tutto vero): deportazione di due milioni di palestinesi che la abitano e costruzione in loco di un mega resort turistico di lusso, una specie di Dubai mediterranea, controllo a lungo termine di quel territorio da parte degli Stati Uniti che si occuperanno di gestire il “trasloco” di massa dei palestinesi altrove - ma non si sa dove - con relativi costi a carico dei paesi vicini, storicamente così attenti alle sorti di quel popolo sfortunato. Secondo Trump è possibile in pochi anni trasformare Gaza in “un posto internazionale bellissimo, visto che il potenziale turistico nella striscia è incredibile”. E’ così che si cambia l’aria in Medio Oriente, altro che il Turchino.

E’ vero che larga parte del pianeta si è fatta una sonora risata di fronte a un’uscita del genere, che possiede il tocco dadaista, grottesco e vagamente tarantiniano di unire il ricordo delle tragedie immani del Novecento - la deportazione, la pulizia etnica - con l’estetica del palazzinaro, del tour operator, del traffichino che ti rifila un pacchetto vacanze farlocco. Ed è vero che è un’idea talmente assurda da far sì che addirittura Hamas - soggetto che a chi scrive questo pezzo al solo sentirne il nome fa venire voglia di pigiare il bottone dell’atomica – l’abbia commentata in termini una volta tanto del tutto condivisibili: “Ridicola”.

Ma il dramma – come cambiano i tempi, signora mia - è che altrettante moltitudini di persone l’hanno presa sul serio. Non bisogna considerare quello che pensano gli israeliani e i palestinesi, visto che dopo decenni di massacri è ovvio che tutti gli israeliani, pure quelli di sinistra, vorrebbero deportare tutti i palestinesi e tutti i palestinesi, pure quelli di sinistra, vorrebbero deportare tutti gli israeliani. Loro sono gli unici che hanno “diritto” di dire tutto quello che vogliono, comprese le cose più illogiche. Ma gli altri no. Gli altri dovrebbero tenere il cervello al fresco e ricordarsi che va bene che siamo uomini, però anche per noi, gli esseri più inqualificabili dell’universo mondo, c’è comunque un limite al Circo Orfei.

Divertentissima, ad esempio, la visione dei giornali e dei talk di destra, che di solito sono sempre così diretti e brutali nel distinguere il bianco dal nero e che invece in questi giorni si stanno talmente avvitando in contorcimenti e distinguo e subordinate e glosse e doroteismi e fantozzismi nel cercare di nascondere o almeno di dare un senso a questa surreale uscita di Trump da farli assomigliare più a Andreotti e Rumor che a Reagan e alla Thatcher. Ed è ancor più divertente l’idea cafonissima che sta alla base della trasformazione di Gaza in una multiproprietà, straboccante di servi indigeni che baciano la pantofola a ricchi burini occidentali, generalmente anziani e sovrappeso, e feste e discoteche e occhiute megere a caccia di black stallion e papponi in disarmo attorniati da nipotine, ziette e amichette e cinepanettoni e “Natale a Gaza” e “Gazaland” e tornei di padel per vecchie glorie e casinò e Las Vegas nel deserto e Miami de noantri e la donna barbuta e il nano sodomita e il mangiafuoco vestito da Pulcinella, da Brighella o da Mussolini e fatti un giro sul cammello e guarda com’è pittoresco il ballerino di tip tap palestinese con una gamba sola e lotta nel fango tra ex modelle in pensione e nani e ballerine e pippate di cocaina e bitcoin e cicisbei e viaggi organizzati e vendita di pignatte sul bus e tutto il resto di quel caravanserraglio che rappresenta il peggio del peggio di una civiltà in totale disfacimento, in rovina culturale, fisica e mentale che non ha più nulla da dire, nulla da pensare, nulla da inventare e che marcisce nel suo ricco, bolso, omeostatico e cellulitico disfacimento.

E avanti così, di scemenza in scemenza, fino a quando sbarcheranno quelli nuovi, quelli giovani, quelli affamati, che noi occidentali ottusi, arroganti e ignoranti ovviamente non vedremo manco arrivare, troppo impegnati a crogiolarci nella risata che ci seppellirà.

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